Gli anticorpi sono proteine che svolgono un ruolo chiave nell’ambito del sistema immunitario umorale (“umore” è il nome con cui anticamente si indicava il sangue). Vengono prodotti dai cosiddetti linfociti B in risposta alla presenza nel sangue di un corpo da questi identificato come estraneo: può trattarsi, per fare degli esempi, di un virus o di un battere, e viene generalmente indicato come antigene. I linfociti B si differenziano tra di loro a seconda del tipo di anticorpo che sono in grado di produrre. Sulla superficie di ognuno di essi è presente un modello di tale anticorpo (o immunoglobulina), e, quando un antigene perfettamente complementare a questo modello vi si attacca, il linfocita innesca la produzione in serie di quello specifico anticorpo. Una volta rilasciati in quantità nel flusso sanguigno, gli anticorpi individuano l’antigene e lo “disattivano”, cioè fanno in modo che non possa danneggiare le cellule sanguigne: tipicamente, gli anticorpi aderiscono ai siti di attacco dell’antigene, rendendo impossibile l’attacco da parte di questo a una cellula ospite. Una volta disattivato, l’antigene viene fagocitato e smaltito da un macrofago. Non sempre gli anticorpi riescono a intervenire in tempo: quando un antigene è già penetrato in una cellula, che può anche essersi riprodotta nel frattempo, è allora compito dei linfociti T citotossici individuare e distruggere le cellule infette.
L’azione degli anticorpi è ovviamente concepita per favorire l’organismo, combattendo le eventuali minacce alla sua sopravvivenza. Tuttavia, talvolta il loro operato può inavvertitamente rivelarsi deleterio. È il caso delle trasfusioni di sangue, in cui la necessità di individuare con precisione il gruppo sanguigno sia del donatore sia del ricevente risponde alla presenza nel sangue di elementi antigenici, distinti in A e B. Come illustrato dettagliatamente nell’articolo al riguardo, alla presenza nel sangue di antigeni di uno di questi due gruppi è associata la presenza di anticorpi ostili all’altro gruppo. Questo vuol dire che gli individui di gruppo A posseggono anticorpi contro gli antigeni B, mentre individui di gruppo B dispongono di anticorpi anti-A. Il gruppo 0, che non presenta antigeni né di un tipo né dell’altro, è contraddistinto dalla presenza di anticorpi anti-A e anti-B, mentre il gruppo AB, presentando entrambi gli antigeni, non dispone di anticorpi. Una volta inquadrata questa situazione, è automatico capire che se per esempio sangue di gruppo A viene immesso in un flusso sanguigno di gruppo B, non solo gli anticorpi dell’organismo aggrediranno le cellule sanguigne estranee, ma saranno anche gli anticorpi del sangue immesso a combattere quelli che dal loro punto di vista sono corpi ostili. Come risultato, le cellule sanguigne risulteranno stremate e indebolite (tanto più quanto sarà stata massiccia la quantità di sangue ricevuta), e il sistema immunitario, già ampiamente impiegato in questo assalto inutile, potrebbe reagire con meno efficacia ad una minaccia più seria.
Oltre a rappresentare la principale bussola nel contesto delle donazioni sanguigne, la conoscenza precisa degli anticorpi e del loro funzionamento è alla base della sintesi di vaccini con cui prevenire il contagio da parte di un antigene. Un vaccino è un preparato di microrganismi patogeni morti o resi innocui che viene somministrato a un soggetto al fine di indurre la produzione di anticorpi specifici da parte del suo sistema immunitario. L’organismo viene così predisposto a resistere a un eventuale contagio da parte di quello stesso tipo di antigeni, ancor prima che questo sia avvenuto.
A cura di Enrico Forte