Stravaccato in sala trasfusioni, ipnotizzato dal lento su e giù della centrifuga, il donatore finisce inevitabilmente per farsi la domanda: a chi andrà il mio sangue? La mente gli vola subito a scenari tristemente tipici, perlopiù tragici incidenti stradali con emorragie incontrollate. In situazioni del genere, è chiaro, l’importanza di una ben fornita riserva di sangue è incalcolabile; ciononostante, gli scopi delle donazioni non si esauriscono tutti su questo orizzonte.
Spesso non si pensa ad altri ambiti di impiego che, seppur meno “movimentati”, sono all’ordine del giorno e assumono il medesimo valore capitale.
Il sangue è un tessuto non riproducibile in laboratorio, e proprio in questo deficit sta la preziosità delle donazioni. In particolare, va da sé che l’affluenza di sangue donato risulta necessaria anche per la ricerca scientifica. Lo sviluppo di trattamenti atti a combattere la leucemia, per esempio, presuppone uno studio continuo e approfondito delle emocomponenti, necessariamente esercitato su campioni tratti da organismi in vita.
Queste incessanti indagini non possono permettersi di dare niente per scontato, quindi hanno bisogno di un approvvigionamento costante di esemplari sperimentali. «Donare è un atto di fede nella scienza» spiega Alice Cani, ricercatrice sostenuta dalla Fondazione Umberto Veronesi «Nella maggior parte dei casi i risultati si vedranno tra molti anni, ma è l’unica via per garantire un futuro con cure migliori a noi e alle persone a noi care».
Un risvolto delle donazioni sanguigne che, lungi dall’essere più “sterile” o meno “eroico” degli altri, costituisce una porzione basilare delle prospettive di utilizzo, rappresentando la sola possibilità di progresso nella lotta contro le malattie del sangue.
Proprio nell’ambito della lotta contro le malattie si inserisce un’altra funzione essenziale del donatore, vale a dire quella di àncora di salvezza per le persone affette da talassemia. Questa grave malattia del sangue provoca una situazione di anemia (cioè scarso numero di globuli rossi, quindi scarsità nel trasporto di ossigeno), finendo per invalidare l’efficienza di tutti i tessuti corporei. I pazienti talassemici necessitano pertanto di donazioni assidue, così da riequilibrare le mancanze del proprio sistema circolatorio e dell’organismo intero.
Il bisogno di una trasfusione può anche coinvolgere chi si sottopone a un intervento chirurgico, dal momento che durante l’operazione è consueto che il paziente perda una quantità di sangue più o meno importante. Nel caso di un intervento programmato, inoltre, è possibile avvalersi di un’auto-trasfusione: si trasfonde al soggetto il suo stesso sangue, prelevatogli preventivamente con largo anticipo. Questa procedura, naturalmente, annulla ogni rischio di incompatibilità e di trasmissione di malattie infettive.
Anche in seguito a un parto può essere necessaria una trasfusione. Normalmente, la donna perde circa mezzo litro di sangue durante il parto vaginale, e circa il doppio durante il parto cesareo; il sanguinamento dall’utero è però ritenuto preoccupante quando oltrepassa la soglia di 1 litro.
Il fenomeno è tutt’altro che raro: l’emorragia post-partum rappresenta la prima causa di morte (più del 40% dei decessi totali) delle nuove madri. È allora che le scorte di sangue donato tornano essenziali. Purtroppo ricorrere a un’auto-trasfusione, in questi casi, è impossibile: implicherebbe una donazione da parte della donna non più di un mese prima del parto, ma alle donne incinte, per ovvi motivi, non è consentito donare il sangue.
In condizioni normali, comunque, il momento del parto può invece rappresentare l’occasione per una piccola donazione da parte della donna, attraverso un prelievo di sangue dal cordone ombelicale. Il cordone, infatti, è ricco di cellule staminali, che possono essere “coltivate”, lasciate crescere e differenziare in vari tipi di cellule specializzate (non solo sanguigne). Oltre a costituire un valido strumento per la ricerca, queste cellule sono potenziali “sostituiti” sfruttabili per la rigenerazione di tessuti danneggiati. Il prelievo post-partum, insomma, potrebbe a buon diritto essere descritto come la donazione più proficua di tutte.
Ma torniamo al nostro donatore pensieroso, tutto preso a chiedersi che cosa ne sarà del proprio sangue. I possibili tragitti sono innumerevoli, ma quello di cui può essere certo è che il suo gesto verrà messo a frutto da mani competenti e riverberato verso le esigenze forse di qualcuno, forse di molti.
A meno che, certo, l’unità di sangue donato non rimanga inutilizzata per più di 42 giorni, termine ultimo dopo il quale verrà distrutta… ma in quel caso ci sarà solo da gioire, non essendo stata necessaria alcuna trasfusione!
A cura di Enrico Forte