Domani 29 settembre celebreremo la Giornata Mondiale del Cuore, iniziativa che di anno in anno si propone di sensibilizzare il ruolo cruciale che l’adeguata cura del nostro organo centrale deve ricoprire nella vita di ognuno. Alle malattie cardiovascolari è attribuita la più diffusa causa di morte a livello globale: in questa vasta categoria vengono fatte rientrare tutte le malattie che hanno per vittime o i vasi sanguigni o il cuore in prima persona, compromettendo in ogni caso l’adeguato funzionamento del sistema circolatorio. Nonostante il tristemente lungo elenco in cui si susseguono tali patologie, è soprattutto la famigerata aterosclerosi a cui si fa riferimento. Si tratta di una condizione di alterazione delle pareti delle arterie, con conseguente restringimento, allargamento o ostruzione dei canali. Questi fenomeni sono responsabili di anomalie nel flusso sanguigno nonché, di conseguenza, di un lavoro cardiaco irregolare.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la prevenzione di queste malattie potenzialmente letali non richiede particolari sacrifici, se non l’adozione fin dalla giovane età di abitudini salutari e la costanza nel praticarle. In primo luogo, l’OMS consiglia di ridurre il consumo di sale fino ad una quantità ideale di 5 g al giorno, in quanto una presenza eccessiva di cloruro di sodio provoca l’indurimento delle pareti arteriose. La caratteristica peculiare delle arterie dovrebbe essere proprio l’elasticità, al fine di consentire massima efficienza nel pompaggio del sangue, quindi a vasi rigidi non può che corrispondere una riduzione della portata ematica. Fumo e alcolici sortiscono lo stesso effetto, e per scongiurare il rischio cardiovascolare si indica anche di evitare il consumo di alimenti ricchi di grassi animali: sono queste le sostanze che tendono più facilmente ad accumularsi a ridosso delle pareti vascolari, andando ad assemblarsi in un accumulo che ostacola il passaggio del sangue e contribuisce all’innalzamento della pressione arteriosa. In realtà, il problema non è legato tanto alla presenza del coagulo in sé, bensì all’infiammazione che si sviluppa in risposta ad esso: i detriti vengono aggrediti da piastrine, macrofagi e globuli bianchi, che si affannano per rimediare al problema senza però fare altro che accrescere sempre più la mole di quello che ora è un coagulo sanguigno. Normalmente, la coagulazione avrebbe effetti positivi: è quel meccanismo a cui dobbiamo la rigenerazione di un taglio o del buco di una puntura, e che ha inizio proprio con la costruzione di un rivestimento provvisorio (la “crosta”) che impedisca l’intrusione di corpi estranei. Ma quando il corpo estraneo è all’interno di un vaso sanguigno, la coagulazione ha conseguenze disastrose, aggravate dal fatto che anche molti globuli rossi finiscono per schiantarsi e rimanere incagliati nell’agglomerato. Questo prende ormai il nome di trombo e, se si sviluppa in dimensioni tali da occludere del tutto il passaggio, la parte del corpo di pertinenza di quell’arteria non viene più irrorata di sangue, non riceve più ossigeno e va incontro a necrosi (cioè morte di tutte le cellule che la compongono). Qualora queste cellule fossero neuroni si parla di ictus, la cui gravità è legata al fatto che la necrosi di un’area cerebrale comporta la cessazione di tutte le funzioni biologiche da essa coordinate.
Se la diminuzione del lume dell’arteria è deleteria, anche la sua dilatazione è problematica. In effetti, le cause della formazione di un cosiddetto aneurisma e del pericolo che rappresenta non si discostano più di tanto dalle circostanze finora descritte. L’indebolimento di un vaso sanguigno e la sua maggiore friabilità – condizioni, occorre ripeterlo, enfatizzate da un abuso di sale, fumo e alcolici– possono spesso condurre all’erosione degli strati interni della parete ad opera dello stesso sangue che scorre, il che alla lunga si traduce in un assottigliamento anche significativo dell’argine. Il tratto interessato, meno resistente del normale, tende a cedere e incurvarsi verso l’esterno al continuo passaggio del sangue, dando luogo, visto dall’esterno, ad un rigonfiamento di quella sezione dell’arteria. Un’insenatura del genere è soggetta in misura maggiore al deposito di sostanze lì in transito, rendendo più facile la formazione dei suddetti trombi. La differenza, in questo caso, è che le pareti assottigliate sono ovviamente più sensibili ad una pressione elevata, ed è molto plausibile il raggiungimento di un punto critico in cui la loro struttura venga compromessa, concludendosi in un’emorragia interna.
Tra tutti i rischi associati ad ognuna di queste circostanze, comunque, non bisogna dimenticare le ripercussioni incassate dal cuore. La riduzione del flusso ematico associata alla rigidezza dei vasi, l’impossibilità dei distretti corporei di essere irrorati a causa di un’ostruzione da trombo, l’improvviso deragliamento del sangue in concomitanza con l’apertura di una lesione in un vaso: tutti questi eventi obbligano il muscolo cardiaco ad incrementare la propria attività nel disperato tentativo di sopperire al difetto di nutrimento delle zone interessate. E se il cuore fa gli straordinari, non c’è dubbio che andrà in pensione prima del tempo.
A tal proposito, nonostante si sia già diffusamente trattato dei benefici dello sport, è importante ribadire come almeno un’ora di attività (aerobica in particolare) ripetuta tre volte alla settimana sia fondamentale per temprare il muscolo cardiaco. Questo viene letteralmente “allenato” come tutti gli altri muscoli e si abitua così a pompare più sangue a parità di energia impiegata, guadagnando anni di vita.
La Giornata Mondiale del Cuore si ripete una volta l’anno, ma la speranza è che questi consigli di prevenzione non smettano mai di accompagnarci. Bastano poche, accettabili rinunce per valorizzare un bene permanente e inestimabile.
A cura di Enrico Forte