Il mondo scientifico schierato nella battaglia contro il Coronavirus rilancia ormai da qualche mese la proposta degli anticorpi monoclonali. Si tratta di una soluzione già messa in atto nella trattazione terapeutica di alcune malattie autoimmuni, come le artriti, e tumori, come quello della mammella. Non solo: coniugati con composti radioattivi, vengono usati per localizzare alcuni tipi di metastasi, differenziare sottotipi e stadi di progressione delle neoplasie, diagnosticare malattie infettive e identificare i microrganismi o parassiti nel sangue nei fluidi corporei. Trovano inoltre largo impiego nelle tecniche di immunoistochimica.
Gli anticorpi monoclonali vengono prodotti in laboratorio mediante l’utilizzo di cavie animali, di solito topi, ratti e conigli.
Se si vuole sviluppare un anticorpo contro una certa proteina, ad esempio l’actina di ratto, si purifica la proteina dai tessuti e dalle cellule del ratto per poi iniettarla, ad esempio, nel coniglio. Nell’animale ricevente l’actina di ratto viene riconosciuta dal sistema immunitario come una proteina esogena, quindi come un antigene (sostanza estranea all’organismo), scatenando una reazione immunitaria. Durante la reazione immunitaria si attiva una cascata di interazioni cellulari che porta all’attivazione di cellule del sistema immune, le plasmacellule (Linfociti B attivati, per questo anche dette Linfociti B effettori), che iniziano a produrre anticorpi contro l’actina di ratto.
Plasmacellule diverse sono dette cloni: ciascun clone produce anticorpi con caratteristiche diverse, dal momento che questi riconoscono solo una parte (epitopo) dell’agente infettivo. Anticorpi prodotti dalla plasmacellula A sono diversi da quelli prodotti dalla plasmacellula B. Tutti gli anticorpi reagiscono quindi con diversi antigeni infettivi: la risposta è detta perciò policlonale, perché proveniente da tipi diversi di cloni cellulari. L’interesse, tuttavia, sta negli anticorpi più efficienti e quindi nelle plasmacellule in grado di produrli.
Dopo aver immunizzato l’animale, si estraggono dal tessuto linfatico (milza o linfonodi) le plasmacellule attivate che in vitro vengono “immortalizzate” tramite fusione con cellule tumorali del sangue (cellule di mieloma) che hanno la caratteristica, appunto, di essere immortali. Si ottengono così degli ibridomi, linee cellulari immortali ognuna delle quali produce anticorpi di un’unica specificità, secreti nel mezzo di coltura.
Gli ibridomi vengono quindi selezionati per le attività degli anticorpi da essi prodotti contro l’antigene di interesse e clonati. Ogni clone produce grandi quantità di anticorpi identici di cui rappresenta una riserva praticamente illimitata. Essendo quindi anticorpi prodotti da un unico clone si parla di anticorpi monoclonali.
Gli anticorpi monoclonali, come già accennato, trovano largo impiego nella pratica clinica. Nel caso di malattie causate da agenti infettivi, le strategie terapeutiche normalmente messe in atto consistono nell’assunzione di farmaci antibiotici o antivirali e nella vaccinazione con conseguente induzione del sistema immunitario alla produzione di anticorpi. Gli anticorpi monoclonali rappresentano un’altra possibilità: non un’alternativa al vaccino ma piuttosto un’arma complementare, dal momento che vengono inoculati direttamente gli anticorpi che bloccano l’agente infettivo, anticipando quelli che l’organismo produrrà ma con minore efficienza.
La produzione in larga scala di anticorpi da cloni di cellule in vitro e la successiva inoculazione di queste miscele si è rivelata in grado di bloccare l’infezione soprattutto nella fase iniziale della malattia. Non solo, dunque, questa terapia ha consentito di ridurre il numero di pazienti soggetti a danni polmonari gravi, ma ne è stato proposto un uso preventivo, al fine di proteggere i soggetti in pericolo di contagio ancora in attesa della somministrazione del vaccino e dell’inizio della sua effettiva protezione contro il Coronavirus.
Recenti dichiarazioni del sottosegretario alla Salute Andrea Costa, paventano “la possibilità di avviare i pazienti affetti da Covid-19 di recente insorgenza e con sintomi lievi-moderati, alla terapia con anticorpi monoclonali”.
A cura di Francesca Genoni