Sabato 26 novembre si celebra la Giornata Nazionale della Malattia di Parkinson, la seconda malattia neurodegenerativa più frequente dopo la Malattia di Alzheimer.
È una malattia più comune negli anziani e l’incidenza aumenta dell’1% oltre i 60 anni di età e fino al 4% sopra gli 80 anni. L’età media di insorgenza è circa 60 anni, ma quasi il 10% dei casi manifesta i primi sintomi tra i 20 e i 50 anni.
Nonostante la sua elevata incidenza, si tratta di una patologia che porta con sé diversi falsi miti: ad esempio, viene sovente definita come “morbo di Parkinson”. Non è corretto parlare di morbo perché il Parkinson non è una malattia mortale: infatti, non si muore di Parkinson, bensì di scadimento delle funzioni generali e, piuttosto, di tutte le complicanze associate alla malattia.
Da un punto di vista clinico, la manifestazione franca della malattia avviene con una triade di sintomi: rigidità, tremore, bradicinesia (lentezza nei movimenti) e talvolta instabilità. Caratteristica è la marcia del parkinsoniano, detta festinazione: il paziente cammina normalmente, poi fa passi sempre più piccoli e infine perde l’equilibrio cadendo in avanti. Lo stesso fenomeno si osserva nella scrittura (micrografia). I tremori non ci sono necessariamente. Anzi, le forme senza tremori, dominate quindi da rigidità, sono anche le più maligne.
Da un punto di vista non motorio, quindi della sfera cognitiva, si riscontrano alterazioni nelle fasi terminali della malattia che danno luogo a demenza, ma altri pazienti rimangono perfettamente inalterati nell’aspetto cognitivo.
Il Parkinson insorge nel 15% dei casi in pazienti con parenti già malati, mentre è sporadico nel restante 85%. I geni coinvolti sono numerosi, perché altrettante sono le funzioni cellulari colpite.
Non ci sono evidenti fattori epidemiologici: la malattia non correla né con l’alimentazione, né con la professione, non ci sono quindi particolari comportamenti da adottare con azione preventiva. Correlano strettamente con Parkinson solo alcune tossine che venivano usate, ora non più, in agricoltura, che creavano appunto un fenotipo simil-parkinsoniano. Il fumo sembra essere un fattore pseudo-protettivo, più probabilmente perché chi fuma muore prima di poter sviluppare la malattia.
Nel Sistema Nervoso Centrale e Periferico, la trasmissione dell’impulso avviene a livello della parte terminale dell’assone di ogni neurone, ovvero della sinapsi: al suo interno si trovano vescicole contenenti neurotrasmettitori, alcuni dei quali sono molto rari nel sistema nervoso centrale e in particolare nel cervello. Nel Parkinson, la zona del Sistema Nervoso Centrale di interesse è il mesencefalo, al confine tra il cervello propriamente detto e il tronco encefalico. Questa componente, in sezione, presenta delle “banderelle” nere che corrispondono alla Sostanza Nera (substantia nigra): una delle prime evidenze è che nel Parkinson la SN scompare, in particolare la pars compacta, che corrisponde a una delle due regioni dopaminergiche del cervello (l’altra è il nucleo arcuato dell’ipotalamo): in studi effettuati su cadaveri di parkinsoniani, si osserva che questa parte è completamente distrutta. I neuroni sono quasi tutti spariti e i pochi che rimangono contengono degli aggregati enormi detti corpi di Lewy.
Il contenuto di questi corpi è il reale protagonista della malattia: l’?-sinucleina. Tra tutti i geni colpiti nella malattia, 2 mutazioni sono proprio quelle dell’?-sinucleina. Quando questa si accumula, ci si ammala di Parkinson.
È una proteina molto curiosa perché fisiologicamente non riveste grande importanza.
Dal punto di vista strutturale, invece, è molto interessante, perché ha proprietà simil-prioniche (PRoteinaceous Infective ONly particle” = particella proteica solamente infettiva). Quando si fornisce energia all’?-sinucleina essa cambia la sua conformazione, diventando di fatto patologica: quando un’?-sinucleina patologica incontra un’?-sinucleina con una conformazione normale, le riesce a trasmettere la stessa conformazione patologica. Il Parkinson, quindi, è a tutti gli effetti una malattia infettiva.
L’ ?-sinucleina nella conformazione patologica fa dei danni incredibili: riesce ad accumularsi perché forma una serie di aggregati sempre più grandi, i sopraccitati corpi di Lewy. Paradossalmente, i corpi di Lewy enormi sono meno pericolosi degli aggregati piccoli, ovvero degli oligomeri. Non sono, infatti, i corpi di Lewy a compromettere i neuroni che, anzi, sono protettivi dal momento che è la cellula stessa a compattarli appositamente. I corpi di Lewy, in effetti, si riscontrano anche nella neocorteccia di cadaveri di pazienti non parkinsoniani, mentre dovrebbero comparire in questa stessa zona nella parte finale della malattia. Si tratta forse di parkinsoniani preclinici, ma ciò che è certo è che i corpi di Lewy non sono esclusivi dei parkinsoniani ed esistono comunque parkinsoniani senza corpi di Lewy.
Gli oligomeri riescono quindi a legarsi alla membrana cellulare, shiftare dentro le membrane biologiche rendendole più permeabili agli ioni e compromettono uno per uno tutti gli organuli. Ad esempio nel mitocondrio, la “centrale energetica” della cellula, gli oligomeri si legano alla catena di trasporto degli elettroni e quindi riescono a bloccarla, determinando accumulo di stress ossidativo tossico per le cellule. In effetti, molti dei geni colpiti dal Parkinson sono mitocondriali. A sua volta, lo stress ossidativo riesce a favorire l’accumulo di ?-sinucleina, instaurando così un circolo vizioso patologico. Si tratta di un meccanismo molto esacerbato in presenza di neuroni dopaminergici, che sono di per sé sottoposti a maggiore stress ossidativo.
Un altro aspetto colpito è la proteostasi, ovvero il meccanismo di degradazione di proteine e organuli vecchi o mal sintetizzati. Gli oligomeri di ?-sinucleina riescono a bloccare entrambi i meccanismi principali (proteasoma e lisosomi) di proteostasi e, pertanto, la degradazione di sé stessi. La proteina si accumula quindi nel reticolo endoplasmatico, stressando e diminuendo di conseguenza la “consegna” a destinazione di altre proteine smistate al suo interno, di cui la più sensibile è la proteina DAT, il Trasportatore della Dopamina, responsabile del riciclo della Dopamina a livello sinaptico. Meno DAT vuol dire meno Dopamina riciclata e, generalmente, meno Dopamina a disposizione.
Nel momento in cui l’?-sinucleina patologica compromette la sinapsi, un neurone di cui non funziona la sinapsi non serve più a niente e quindi è lasciato morire: non è, quindi, la morte dei neuroni dopaminergici a determinare gli effetti clinici del Parkinson, quanto il fatto che, in primo luogo, i neuroni sono compromessi funzionalmente.
La malattia ha una diffusione in senso verticale, perché parte dalla base del cervello e si espande, invadendolo completamente. Più precisamente e sensazionalmente, la malattia di Parkinson parte dall’intestino e dall’epitelio olfattivo, prende quindi i nervi vago e olfattivo, entra nel cervello dalla base e quindi diffonde in tutto il cervello dal basso verso l’alto. Ecco perché i sintomi precoci della malattia non hanno niente a che vedere con la sfera motoria e insorgono fino a 10 anni prima della comparsa dei sintomi tardivi: si tratta tuttavia di fasi estremamente precoci in cui la diagnosi è ancora impossibile.
Non esiste ancora una cura per la malattia di Parkinson.
A cura di Francesca Genoni
Fonte: Giulio Deangeli. (2021, 7 febbraio). PARKINSON – Introduzione ai meccanismi delle malattie neurodegenerative [Video]. YouTube. https://youtu.be/Geq4CvCMJKQ
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