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Autore: Alessia Castiglioni

I premiati del Concorso “Uno scatto per la vita”

“Uno scatto per la vita” è il titolo del concorso fotografico bandito dal gruppo Giovani Avis di Busto Arsizio e Valle Olona, guidato da Angelo Colombo, con il fine ultimo di rendere i social veicolo del messaggio del dono del sangue. Il tema, infatti, era il seguente: “Attraverso una foto, spiega cos’è e cosa rappresenta per te donare il sangue”. Il concorso era rivolto a chiunque, avisini e non, donatori di sangue e non, con un particolare invito ai giovani, che più di altri immortalano il momento della donazione rendendolo pubblico sui propri social. 

«Il titolo “Scatto per la vita” – ha spiegato Angelo Colombo durante la premiazione del concorso alla Serata del Donatore 2023 – è nato proprio perché il termine “scatto” ha un doppio significato. Non vuol dire solo fare una foto, ma anche non essere inermi, essere pronti a muoversi per aiutare gli altri. E poi, il sangue è necessario alla vita.

Ma non intendiamo aiutare solo donando il sangue, perché si può fare del bene in tanti modi, anche regalando del tempo. L’importante è fare solidarietà, ed è per questo che speriamo in qualche ragazzo che si unisca al nostro gruppo. Anche partecipare al contest è un semplice modo per fare qualcosa di bello e sentirsi appagati con poco».

Ciascuna foto vincitrice del concorso, classificate per numero di like ricevuti, è stata presentata al pubblico insieme ad una breve descrizione. Riportiamo quella della foto vincitrice: 

“Questa foto con queste occhiaie dicono tanto ma non tutto.

Dicono che durante quella donazione non stavo passando di certo un bel periodo per via di vari pensieri e preoccupazioni ma nonostante ciò, l’atto di donare, mi ha permesso di trasformare il negativo in positivo, la tristezza in gioia, le preoccupazioni in speranza e voglia di fare del bene. 

Dagli occhi, dunque, e in questo caso anche dalle occhiaie, si riesce a scrutare un pochino di cuore gentile che si può immaginare  come un mare, in grado di pulsare solo grazie al percorso di quel fiume rosso, chiamato sangue, che scorre nelle vene.”

Il concorso ha testimoniato come i social, spesso usati per pubblicare contenuti futili e per vana gloria, possono in realtà diventare un mezzo per mostrare a più persone possibili che donare il sangue è un gesto semplice e alla portata di tutti. Provare per credere!

Di seguito le altre due foto vincitrici:

2° classificato:

3° classificato:

L’accordo con Futura

Attiva da ormai una decina d’anni, prosegue la collaborazione di Avis Busto Arsizio e Valle Olona con Futura Volley Giovani, squadra pallavolistica di Busto Arsizio. 

Durante le partite in sede, sono presenti giovani volontari addetti al servizio al campo, ad esempio per l’attività di distribuzione dei palloni alle giocatrici, asciugatura del pavimento, ecc., i quali indossano una maglietta dove è presente anche il logo di Avis Busto Arsizio e Valle Olona, per sponsorizzare e far conoscere agli spettatori la realtà associativa. Appare inoltre sui tabelloni pubblicitari la pubblicità con l’invito a donare e diventare membri dell’associazione. 

L’accordo è valido per tutto l’anno sportivo in corso con l’intento di proseguire per il prossimo campionato, in qualunque serie venga disputato.

Assemblea Annuale 2024: il report

Si è tenuta ieri mattina l’Assemblea Annuale di AVIS Busto e Valle Olona, momento capitale nell’attività dell’Associazione, occasione per fare il punto sugli obiettivi raggiunti e definire nuove strategie per il futuro.

L’esordio del presidente Giuseppe Bianchi ha messo in risalto, tra i traguardi concretizzati nel 2023, l’accresciuto numero di donazioni – 6.897, a fronte però di un calo fisiologico del numero di soci donatori. Come poi chiarito dal dott. Trotti, infatti, si rende talvolta necessario ripulire i nostri database dai nomi di quei soci che, ormai da anni, non rispondono alle chiamate della Segreteria: è proprio questa intenzionale pulizia a ridurre periodicamente il numero di avisini registrati. Che i donatori siano in calo non deve preoccupare, dunque, mentre può solo rallegrare il compimento, in termini di donazioni, delle richieste di Regione Lombardia e dell’Azienda Sanitaria.

Il Presidente Bianchi ha proseguito esponendo le principali attività operative in seno ad AVIS Busto, progetti che garantiscono una sempre maggior partecipazione alla vita associativa e un servizio adeguato ai donatori.

Il Progetto Accoglienza, in primo luogo, conta ad oggi circa venti volontari che ogni mattina, a turno, si recano al Centro Trasfusionale per dare indicazioni ai nuovi donatori e chiedere un feedback a quelli di lunga data. Tutte le osservazioni, i suggerimenti e le eventuali richieste dei soci vengono discusse in sede di Consiglio, nell’impegno costante di mantenere aggiornato il servizio offerto.

In secondo luogo c’è il Progetto Scuole, coordinato dal prof. Maurizio Moscheni, che da quest’anno si focalizza maggiormente sui ragazzi della quinta superiore: quelli che hanno già raggiunto la maggiore età e che, dopo l’incontro informativo col gruppo di Moscheni, possono presentare domanda d’iscrizione senza pensarci due volte. «Noi incontriamo ogni anno 1.500 studenti», ha spiegato nel corso della mattinata lo stesso prof. Moscheni: «È importante seminare, far conoscere a questi giovani la possibilità della donazione, altrimenti c’è il rischio che nessuno proponga loro questa via. Ho incontrato una volta un signore che aveva ricevuto una trasfusione, e che in seguito, tuttavia, non era mai diventato donatore di sangue. Quando gli ho chiesto perché non avesse mai compiuto quel passo, lui mi ha dato una risposta emblematica: mi ha detto “nessuno me lo aveva mai proposto”. Ecco, il Progetto Scuole propone AVIS ai giovani studenti: li rendiamo i cittadini informati e consapevoli».

Certo, il lavoro di semina a volte non basta, come testimoniano i molti casi di studenti che fanno domanda d’iscrizione, ma che poi non diventano donatori periodici. È proprio per questo che il Progetto Scuole sta svolgendo anche un’analisi statistica del percorso degli studenti coinvolti, tracciando le loro tappe a partire dalla domanda d’iscrizione, passando per la visita medica per poi arrivare poi alla prima e (eventualmente) seconda donazione.

Nel corso della mattinata, il Tesoriere Giorgio Trombetti ha poi esposto il bilancio finanziario del 2023 e le previsioni di bilancio per il 2024. Tutti i dati (consultabili in fondo nella RELAZIONE ASSEMBLEA) sono stati poi commentati e certificati nella loro adeguatezza dalla dott.ssa Roberta Sozzi, a capo del Collegio dei Revisori di AVIS Busto.

Dopodiché, a tenere l’imprescindibile relazione sanitaria sono stati il dott. Giovanni Trotti, Direttore Sanitario della nostra Avis, e il dott. Giovanni Crovetti – responsabile del SIMT (Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale) dell’ospedale di Busto Arsizio.

Come ricordato dal dott. Trotti durante il suo intervento, la nostra AVIS comunale non è un’unità di raccolta, cioè non si occupa in prima persona di ricevere il sangue dai donatori e trasfonderlo a chi ne ha bisogno. A premurarsi di questo è il SIMT, in servizio del quale la nostra AVIS vive la propria attività: la ricerca di nuovi donatori che sostituiscano quelli sospesi. Anello di congiunzione fra AVIS è SIMT è proprio la Direzione Sanitaria del dott. Trotti, che ha il compito di verificare l’idoneità dei donatori entranti, e garantire la salute loro e di chi riceve il sangue raccolto.

Il dott. Trotti ha posto l’accento sulla pratica, da lui tenuta, di contattare ogni donatore che – in forza degli esami sulla qualità del sangue donato – sia stato sospeso dal SIMT. La telefonata al donatore sospeso, volta a informarlo con esaustività sui motivi della sospensione, può anche fornirgli una doverosa educazione sanitaria: ci si premura, per esempio, di suggerire diete opportune al singolo avisino, così da normalizzare i valori sanguigni più problematici; si propone una via per ritornare idoneo al dono di sangue (nei casi di sospensione temporanea) oppure di gestire la condizione patologica che abbia portato a una sospensione permanente.

Tra le cause più frequenti di sospensione temporanea, il dott. Trotti ha voluto menzionare la giovane età dei molti donatori coinvolti dal Gruppo Scuole (progetto di cui il dott. Trotti è peraltro colonna portante). «È più alta la percentuale di chi dopo la donazione non fa la seconda» ha spiegato Trotti in merito, riconducendo questo cambiamento soprattutto ai più frequenti casi di lipotimie tra i giovani durante il loro primo prelievo.

A suggello di queste considerazioni, ha preso parola il Dott. Crovetti che ha chiarito come non debba stupire la minore costanza dei neo-maggiorenni in ambito di donazioni di sangue. Quello del donatore, dopotutto, è un percorso a suo modo impegnativo, e se il proselitismo del Progetto Scuole ha la sua indubbia efficacia, in molti casi ci vuole tempo prima che il dono di sangue si faccia abitudine continuativa nella vita del giovane avisino. 

Il dott. Crovetti ha infine esposto i numeri delle unità ematiche raccolte e trasfuse nel 2023, confrontandoli con le analoghe previsioni per il 2024: i dati completi sempre nella relazione in allegato in fondo.

Nel congedarsi dall’Assemblea, il dott. Crovetti ha ricevuto il ringraziamento collettivo di tutti i presenti per gli anni di lavoro dedicati all’ospedale di Busto, al SIMT e ad AVIS: il dottore si appresta infatti alla pensione, e il suo commiato di ieri è valso da “arrivederci” ufficiale tra lui e colleghi ed estimatori.

L’Assemblea Annuale 2024 si è conclusa con l’approvazione all’unanimità di tutti i dati esposti, e un generoso rinfresco finale per ringraziare gli avisini che hanno partecipato a questo bel momento di vita associativa. Un grazie che ci sentiamo di ripetere per iscritto, nell’attesa della prossima occasione di rivederci insieme e, come sempre, fare squadra in nome del dono.

RELAZIONE ASSEMBLEA

 

Avis Busto nelle scuole: ieri, oggi e domani

Ripartono gli incontri tra Avis e le scuole di Busto, e l’emozione, fra i membri del team del padiglione Pozzi, non potrebbe essere più grande.

Se il 2023 sta volgendo al termine, infatti, l’anno scolastico ’23-’24 è solo all’inizio, come è all’inizio il nostro consueto tour di licei, istituti tecnici e professionali della città. La scorsa annata aveva segnato la ripresa delle visite agli studenti dopo il lungo periodo di stallo dovuto alla pandemia. L’augurio è che di stalli, d’ora in poi, non ne capitino mai più.

Ma il nostro è ben più di un augurio, in realtà, ben più di una timida speranza: la nostra è fiducia; e non la fiducia di chi s’illude, bensì quella che si fonda su risultati concreti. Ci permettiamo questa fiducia nel domani solo dopo aver raggiunto, tra il 2022 e il 2023, più di 900 studenti maggiorenni (o lì lì per diventarlo) con la nostra campagna di sensibilizzazione. Più di 900. Il numero non è da leggersi con indifferenza: la sua importanza si gioca sul confronto con le due annate pre-covid, che avevano dato frutti di poco superiori (1031 studenti raggiunti nei mesi antecedenti la prima quarantena, e invece 1039 durante l’anno scolastico 2018-2019).

In tutta onestà, mai avremmo ottenuto questo bel risultato se, tra il 2020 e 2022, il progetto scuole non avesse avuto un suo proseguimento. Perché sì, il covid aveva fermato gli incontri, ma in tutta Busto Arsizio la nostra missione era stata portata avanti dai referenti del progetto, imprescindibili ponti fra la nostra Avis e gli alunni di quarta/quinta superiore: si tratta dei docenti Cuccovillo (Liceo D. Crespi), Sonnino (Liceo P. Candiani), Colombo (ISIS C. Facchinetti), Dragone (ITE E. Tosi), Volpicella (IPC P. Verri), Lualdi (Liceo M. Pantani), Bianchi (Liceo B. Pascal), Battiani (Liceo A. Tosi). Se la prima stagione post-covid si è dimostrata così proficua, questo è stato solamente il raccolto di ciò che i suddetti insegnanti hanno avuto cura di seminare.

Per tutti questi motivi si preannuncia valido, anche per il 2024, il ritorno sul campo del nostro gruppo, formato da un vasto e affiatato insieme di persone. Sotto la coordinazione di Maurizio Moscheni, collaborano al progetto Luigi Pinciroli, Alessandro Barbaglia e il dottor Giovanni Trotti (sono loro a interfacciarsi direttamente con gli studenti), nonché Marilena Langé, Cesarina Pirovano e Donata Riganti. Da sottolineare anche il contributo di Marta Bottigelli per conto della segreteria di Avis, oltre a quello dei membri del nostro gruppo comunicazione (Alessia Castiglioni, Francesca Genoni, Enrico Forte e Marta Pieretti). Il già citato dottor Trotti, infine, si avvale di alcuni suoi colleghi per offrire la visita medica anamnestica agli studenti che, in seguito agli incontri col gruppo scuole, facciano domanda di associazione ad Avis: un ringraziamento particolare ai dottori Airaghi, Colombo, Cortiana, Malacrida, Pigni e Sala.

È dal 2002 che il team si occupa di diffondere la cultura del dono nelle istituti superiori di Busto Arsizio, istituti che riuniscono – occorre ricordarlo – non solo studenti bustesi, ma anche ragazzi da tutti i comuni della Valle Olona. A tal proposito c’è una cosa che dev’essere molto chiara, e che ogni tanto va ripetuta. Tra i fini di questi incontri, naturalmente, c’è quello di informare i giovanissimi su come iscriversi ad Avis, di modo che, se volenterosi, possano iniziare a donare fin dal primo giorno della loro vita adulta. Donare il sangue, però, è solo la cima di quell’iceberg gigantesco che è la cultura del dono. L’attività in cui Avis Busto è impegnata da decenni trascende le mura del nostro padiglione Pozzi, per intercettare le istanze di una quotidianità del dono ben più ampia e variegata.

Ci capita spesso, durante queste chiacchierate con gli studenti, di rivolgerci a persone timorose degli aghi. Si tratta di ragazzi spesso coraggiosissimi, che infatti non si fanno problemi ad aprirsi ad alta voce, in presenza di tutti i loro compagni di classe. Si tratta di ragazzi desiderosi di fare del bene, e che però alla sola idea della donazione sanguigna si sentono travolti da una paura, da un terrore di cui non hanno colpa. Ma il donatore non è solo il donatore di sangue, e l’obiettivo primario del gruppo scuole di Avis Busto è trasmettere questa consapevolezza. Consapevolezza su cui si misura, appunto, l’emozione di rivedere operativi i nostri densissimi cicli di incontri.

Certo, le ripercussioni della pandemia allungano ancora oggi qualche ombra su tutto ciò che ha a che fare con gli ospedali, e l’operato di Avis Busto purtroppo non è immune da simili strascichi psicologici. Durante l’a.s. 2022-2023 a fare domanda di associazione all’Avis sono stati quasi 200 studenti, a fronte dei più di 250 del 2019-2020, nonché dei più di 350 del 2018-2019. Ma lo scorso 5 dicembre la visita al Liceo Scientifico Tosi ha inaugurato il 2023-2024 con dignità, raccogliendo circa 40 domande di associazione a fronte di 160 studenti raggiunti.

Alla fine di ogni incontro, il questionario somministrato alle quarte/quinte di ogni istituto si apre su questa domanda: “Ritieni importante che AVIS entri nelle scuole per dare informazioni corrette sulla necessità di sangue e sulla possibilità di donazione?”. A dare risposta affermativa sono sempre più del 98% degli studenti partecipanti agli incontri. Come detto poc’anzi, il gruppo scuole di Avis Busto si occupa appunto di questo: dare informazioni sulla realtà del dono, fornire gli strumenti necessari per compiere una scelta – lasciando poi la scelta al singolo individuo. Il questionario ci dà conferma, per bocca degli stessi ragazzi a cui ci rivolgiamo, che questa nostra missione è da loro compresa e condivisa. Può esserci gratificazione più grande?

Enrico Forte

Obiettivo Futuro 2023

Abbattere i muri dell’indifferenza: la tutela della salute, l’obiettivo che parte dai giovani

Nella vita può capitare a tutti di trovarsi di fronte ad una problematica più grande di noi: può essere una malattia, un evento inaspettato, una situazione che ci porti a pensare “Ed ora che faccio? Come cambierà la mia vita da oggi in poi? Come affronterò questo cambiamento? Che giudizio avrà l’altro nei miei confronti?”.

Ecco perché circa 140 fra ragazze e ragazzi provenienti dalle Avis di tutta Italia, compresa l’Avis di Busto Arsizio e Valle Olona, si sono ritrovati al Savoia Hotel Regency di Bologna per rispondere ad alcune di queste domande “esistenziali”.

Relatori esperti nel settore medico li hanno accompagnati in questo viaggio di scoperta di sé, degli altri e soprattutto dell’ignoto.

 

Prevenzione HIV: è l’AIDS, non l’HIV a turbare i miei sonni 

Il meeting si è aperto con l’introduzione del professor Massimo Galli, ordinario di malattie infettive all’Università degli Studi di Milano, divenuto particolarmente noto all’opinione pubblica durante la pandemia COVID–19. Il professore ha raccontato la storia dell’HIV, il Virus dell’Immunodeficienza Umana, in particolare da come il virus è stato trasmesso all’uomo tramite la caccia allo scimpanzé, a come il passaggio del virus si sarebbe verificato velocemente intorno al 1900–1930 in seguito a guerre e migrazioni, fino a spiegare le ben note modalità di trasmissione:

  1. Rapporti sessuali non protetti;
  2. Trasmissione verticale, materno–fetale durante la gravidanza o durante il parto senza interventi di prevenzione;
  3. Passaggio di eroina attraverso siringa, a partire dagli anni ‘70.

Il professore ha sottolineato che ci sono stati molti progressi scientifici in merito alla possibilità di trattamento per i soggetti infetti grazie alla terapia antiretrovirale, ma i numeri del contagio sono ancora molto alti. Nel 2022 circa 38.4 milioni di persone a livello globale convivevano con l’HIV; 28.7 milioni sono stati i nuovi infettati; 650 mila sono morti per HIV.

Per chi ritiene che non sia un problema da prendere realmente in considerazione, i dati sull’Italia dicono altro: nel 2022 circa 105-110 mila italiani erano in terapia per HIV mentre 10–20 mila erano senza trattamento. In media, 500 italiani all’anno muoiono per HIV.

I dati parlano chiaro e il professore ha voluto esprimere la sua sincera preoccupazione per la disinformazione che ancora oggi ruota intorno a questo tema: “Si sta verificando quello che io definisco come una sorta di analfabetismo di ritorno. Significa che le nuove generazioni sono sempre meno informate a riguardo perché, purtroppo, la comunicazione che viene diffusa su HIV e AIDS è tutt’altro che buona e scrupolosa”. 

 

ARCIGAY: una battaglia contro il virus

A testimoniare l’importanza della prevenzione sessuale è stata l’associazione Arcigay in collaborazione con Cassero salute, che si occupa di prevenzione in ambito di salute sessuale e promozione del safer sex. Luca, il portavoce dell’ente sociale, ha raccontato la sua esperienza personale di convivenza con il virus, spiegando la difficoltà iniziale dell’accettazione della malattia. Tuttavia, grazie alla terapia antiretrovirale, la sua condizione è cambiata radicalmente, in quanto la stessa “azzera” l’infezione rendendo la carica virale non rilevabile, quindi di fatto il virus non è trasmissibile, secondo l’equazione: 

U = U

UNDETECTABLE = UNTRANSMITTABLE

Grazie alla terapia antiretrovirale, i portatori di HIV possono avere un’aspettativa di vita uguale a una persona senza HIV. In commercio esistono anche farmaci che prevengono l’infezione come la PrEP, che però protegge solo da HIV e non da altre IST. Ecco perché si parla di protocollo PrEP, in quanto l’assunzione del farmaco è affiancata a test di routine per sifilide, gonorrea, epatite C e clamidia, che permettono di diagnosticare e curare tempestivamente eventuali infezioni. Prima di attuare il protocollo, però, è importante eseguire il TEST HIV. Altre informazioni utili sulla prevenzione sessuale si trovano sul sito healthypeers.it.  

 

Soma e psiche: prevenzione salute mentale 

Lo psichiatra dottor Gerardo Favaretto ha sollevato l’importanza della correlazione tra corpo e mente: “Prendersi cura è qualcosa che riguarda tutta la comunità, un contesto generale in cui ognuno di noi è chiamato a fare la sua parte per il bene del prossimo”. Le generazioni sono in continuo mutamento e sono gli adulti a dover “stare al passo”, in quanto esistono tante fasi di vita che ogni soggetto si trova ad affrontare, ed è bello sapere di poter trovare qualcuno pronto a tendere la mano piuttosto che a voltare le spalle. Il concetto è stato ripreso dalla dottoressa Barbara Catellani, chirurga oncologa del policlinico di Modena, esperta in trapianti di fegato.

 

Il trapianto e le sue sfumature di generosità

La dottoressa ha parlato del trapianto come la migliore soluzione laddove un organo non risponde più alle terapie, spiegando che “Grazie a un donatore possono essere salvate fino a 7 vite”. Infatti, senza le donazioni di sangue un trapianto non sarebbe possibile poiché, per un intervento di questo tipo, si utilizzano in media fino a 16 sacche di sangue e, tenendo conto che un donatore può donare ogni 3 mesi quindi fino a 4 volte l’anno (donatore maschio ndr), è fondamentale donare con regolarità e costanza. A testimoniare l’importanza di questo gesto è stato Giancarlo, ex giocatore di football americano che fu ridotto in fin di vita a causa dell’ingestione di funghi velenosi e a salvarlo fu proprio un trapianto di fegato. Tutti possono accedere a questa opportunità iscrivendosi all’associazione AIDO.

Esiste anche un altro tipo di trapianto, quello di midollo osseo, spiegato alla platea tramite l’intervento del dottor Andrea Bontadini, direttore sanitario del Centro Trasfusionale AsFo.

Il dottore ha spiegato l’importanza dell’iscrizione al registro nazionale per diventare possibili donatori, cosa che si può effettuare presso l’associazione ADMO. Molti non lo fanno perché hanno paura di provare dolore tramite questo tipo di donazione, ma non sanno che nell’80% dei casi l’asportazione delle cellule staminali avviene tramite prelievo di sangue periferico, dopo aver assunto nei 5 giorni precedenti al prelievo un farmaco che stimola il midollo a rilasciare cellule staminali in circolo.

All’intervento del medico sono seguite due testimonianze tra cui la storia di Weiner, paziente malato di leucemia salvato grazie alla donazione di un ragazzo inglese. Weiner ogni anno manda una lettera al suo donatore, ringraziandolo per il suo immenso regalo di vita.

 

Alla fine della conferenza, i presenti sono giunti ad una conclusione univoca: bisogna abbattere i muri dell’indifferenza e occorre avere il coraggio di chiedere per mettersi in gioco in una società che purtroppo ha paura di sentire. Perché, in fin dei conti, siamo il Futuro. 

Marta Bottigelli

L’ictus: riconoscerlo, curarlo, prevenirlo – Convegno del 27 ottobre 2023

Si è tenuta venerdì 27 ottobre 2023 la 22esima conferenza organizzata dalla sottosezione di Avis Borsano che ogni anno si concentra sull’approfondimento di uno o più temi di natura medica: quello di quest’anno è stato l’ictus cerebri, ampiamente approfondito grazie agli interventi del Dr. Isidoro La Spina, Responsabile della U.O. di Neurologia dell’ASST Valle Olona e al Dr. Umberto Rosanna, Chirurgo Vascolare.

Ha aperto la serata Alessandro Barbaglia, responsabile della sottosezione, che ha cominciato dando al pubblico una panoramica generale sull’ictus cerebri, patologia tanto grave quanto diffusa essendo essa la seconda causa di morte a livello globale, preceduta solo dai problemi cardiocircolatori e dai tumori, responsabile del 10/12% dei decessi annuali, mentre è la prima causa di invalidità. Il maggior fattore di rischio è la mancanza di tempestività, tanto che basterebbe riconoscere i primi segnali per poter evitare il peggio, salvando la vita a chi ne è colpito e riducendo al massimo gli eventuali danni fisici: in Italia ci sono ogni anno quasi 200mila casi di ictus e, di questi, ? a un anno ha una disabilità totale. Il fenomeno è in costante crescita, in relazione all’invecchiamento della popolazione.

Ha moderato la conferenza il consigliere Luigi Pinciroli, che ha anche portato i saluti del Dr. Vincenzo Saturni, già presidente di Avis Nazionale, impossibilitato a partecipare alla serata.

 

ICTUS: il tempo è cervello

Il primo intervento è stato quello del Dr. La Spina che ha chiarito da subito che l’ictus cerebri (anche detto stroke in inglese) non è altro che un disturbo della circolazione cerebrale. Ci sono due modalità con cui ciò può avvenire: un’ischemia o un’emorragia. Si parlerà quindi di ictus ischemico (85% dei casi) quando l’afflusso di sangue ad una certa zona del cervello è interrotto per un embolo o un coagulo, e ictus emorragico, se è causato dalla rottura di un vaso e conseguente fuoriuscita di sangue, in cui il danno è legato sia alla carenza di ossigeno, sia al fatto che il sangue uscendo dal torrente circolatorio aumenta la pressione intracranica creando una situazione estremamente grave. Alla TAC è possibile distinguere il quadro ischemico da quello emorragico, ma poiché il quadro di ictus evolve anche in 24-48h, in un primo momento potrebbe anche risultare negativa.

Per RICONOSCERLO occorre considerare la rapidità di insorgenza, in quanto può manifestarsi anche in maniera molto subdola e con sintomi aspecifici. I pazienti con ictus riferiscono di avere un disturbo al movimento di un braccio, mancanza di sensibilità, difficoltà a parlare, a vedere una parte dello spazio, hanno mal di testa, confusione mentale… sono tutti sintomi che possono essere ugualmente segnale di ictus. La cosa importante, quindi, è pensare subito che possa essere un ictus: trascurare questa fase, ovvero quella dell’inizio dei disturbi, aumenta il rischio di non poter beneficiare delle terapie all’arrivo in ospedale.

Non esiste una sola causa di ictus: esistono i fattori non modificabili, ovvero per i quali non si può fare niente, come l’età. La patologia è direttamente collegata all’invecchiamento (aumenta del 10% per ogni decade di vita oltre i 55 anni), dunque è un rischio intrinseco della persona solo per il fatto di avere una certa età. Bisogna anche considerare il sesso, poiché è più frequente negli uomini, e non ultimi i fattori genetici, anche se alcuni studi dimostrano altro: studiando una coorte di pazienti classificati con rischio genetico basso, medio o alto e con differenti stili di vita, il dato che è emerso è che i pazienti che partivano col rischio più alto, se erano tra coloro che meglio seguivano le indicazioni sugli stili di vita, riducevano il loro rischio di quasi la metà. Ciò significa che la genetica è condizionata dai nostri stili di vita, dunque anche dai fattori cosiddetti modificabili: ipertensione arteriosa che da sola contribuisce per il 50% all’incidenza di malattie cerebrovascolari, elevati valori di glicemia a digiuno e diabete mellito, alterazione dei grassi nel sangue, fumo di sigaretta, consumo di alcool, fibrillazione atriale, stile di vita sedentario, obesità. 

 

Per PREVENIRLO bisogna curare tutti i fattori modificabili appena citati: non fumare, non eccedere con l’alcool, fare attività fisica in modo regolare, tenere sotto controllo la pressione, scegliere un’alimentazione sana, dimagrire in caso di peso eccessivo, sottoporsi a controlli periodici, prendere regolarmente i farmaci prescritti.

 

Per CURARLO occorre agire con tempestività. Arrivare in ritardo impedisce nella maggior parte dei casi di somministrare le terapie. Per patologia tempo-dipendente si intende proprio questo: infatti, nel momento in cui si realizza la mancanza di flusso sanguigno di un distretto cerebrale, non c’è omogeneità nel tessuto interessato. C’è, cioè, una parte (il core) in cui c’è perdita totale e irreversibile di tessuto, ma tutt’intorno c’è una vasta zona che invece può essere salvata: è la zona di penombra. I primi segni dell’ictus, ad esempio l’emiplegia, sono dovuti a tutta la lesione; quindi, salvare la zona di penombra, dove c’è una carenza relativa di flusso, consentirà di ridurre al minimo i danni.

Col passare delle ore il core tende a crescere, tanto che dopo 6-8 ore non si potrà avere nessun tipo di recupero. Quindi bisogna intervenire subito, perché solo facendo così abbiamo un’elevata probabilità di salvare molto cervello: perciò il tempo è cervello, perché più passa il tempo più perdiamo tessuto che si può salvare. 

La presenza della penombra rilevata attraverso gli esami è il requisito fondamentale per poter praticare determinate terapie. Il neurologo può somministrare una terapia endovenosa ovvero l’attivatore del plasminogeno tissutale (tPA) che è un fibrinolitico e che viene somministrato tenendo conto di alcuni criteri e di controindicazioni assolute e relative. Il neuroradiologo interventista può effettuare per via endovascolare una trombectomia meccanica: accedendo dall’arteria femorale con un catetere segue l’arteria arrivando fin dentro il cervello per sciogliere meccanicamente il coagulo.

Non tutti coloro che subiscono questi trattamenti guariscono: nel 60% dei casi c’è un miglioramento significativo, il 5% va incontro a complicanze come l’emorragia cerebrale, mentre nel 35% dei casi non si ha nessun effetto, oppure c’è un miglioramento transitorio seguito da un peggioramento. Tuttavia, non si intende il 60% della totalità degli ictus, ma solo di quelli che vengono trattati in pronto soccorso, ovvero il 30%: nel restante 70% non si riesce a somministrare alcuna terapia entro le 4 ore e mezza, cioè l’intervallo temporale fondamentale entro il quale intervenire. 

 

La diagnosi e il trattamento della stenosi carotidea come prevenzione dell’ictus cerebrale ischemico

Ha preso quindi la parola il Dr. Rosanna che ha cominciato con una doverosa introduzione all’anatomia dei tronchi sovraortici: esistono infatti due arterie carotidi comuni, una per ogni lato del collo, che sono i due principali vasi arteriosi che portano sangue al cervello. La maggior parte dei vasi cerebrali, infatti, è alimentata dalle carotidi, mentre le due arterie vertebrali danno un flusso adeguato nella regione posteriore del cervello. Ciascuna carotide comune si divide a sua volta in un ramo interno e uno esterno: le carotidi interne portano il sangue ossigenato al cervello, le carotidi esterne portano il sangue ossigenato al viso, al cuoio capelluto e al collo. L’ictus cerebri può essere determinato dalla presenza di placche aterosclerotiche in una o entrambe le carotidi.

Le placche aterosclerotiche a livello delle carotidi possono iniziare già in età infantile, con la presenza di leggerissime strie lipidiche che si formano sulla parete del vaso. Queste strie, con il tempo, vanno incontro a una progressione e danno il cosiddetto ateroma, formando delle concrezioni costituite da lipidi, calcio, piastrine che determinano progressivamente una stenosi ovvero un restringimento del vaso carotideo: è in questa fase che dobbiamo attuare un percorso di prevenzione per controllare la crescita nel tempo di queste placche.

Per stenosi carotidea si intende la riduzione di calibro un segmento dell’arteria carotide e che generalmente si attua a livello della biforcazione delle carotidi: mentre lungo la carotide comune il flusso è lineare, a livello della biforcazione il flusso diventa turbolento perché il sangue incontra improvvisamente un ostacolo rappresentato dalla biforcazione stessa, per cui a questo livello si depositano sostanze, cellule, lipidi e calcio. Se il restringimento diventa particolarmente severo, esso espone il paziente al rischio di ictus: si è calcolato che se la stenosi è uguale o superiore al 70% del lume del vaso, c’è un rischio calcolato statisticamente di avere un ictus nel 5% dei casi. Il rischio aumenta progressivamente con l’età del paziente, tenendo conto anche della familiarità e del sesso. Tra i fattori modificabili rientrano l’attività fisica, il diabete mellito, l’ipercolesterolemia, l’HTA e il fumo. Pertanto, è fondamentale in presenza di questi fattori andare a indagare le carotidi.

Lo studio delle carotidi e delle biforcazioni carotidee può avvenire con l’Ecocolordoppler (ECD), una metodica ecografica non invasiva, indagine di primo livello per la diagnosi della stenosi, ma predittiva anche per il rischio cardiovascolare. L’ECD permette di evidenziare esattamente sia le placche eventualmente presenti nella carotide, sia la loro costituzione: se fibrosa, se fibro-calcifica o se solo calcifica, dato importante da sapere per effettuare un trattamento adeguato.

Maggiore è la stenosi, maggiore è il rischio di avere complicanze. 

 

Il primo ECD andrebbe effettuato, in presenza di fattori di rischio, anche in giovane età, tra i 40 e i 50 anni, sia per uomini che per donne, perché permette di avere una visione precoce del rischio cardiovascolare. Le linee guida del 2022 dicono che lo studio ECD dei TSA come indagine di screening per la ricerca della stenosi carotidea asintomatica può essere indicata:

  • Nei soggetti asintomatici per evento cerebrovascolare, ma con alto rischio e con arteriopatia in altri distretti (es. problematiche alle arterie degli arti inferiori, infarto, sindromi coronariche acute);
  • Nei soggetti over 65 indipendentemente dai fattori di rischio;
  • Nei soggetti con più fattori di rischio.

La patologia stenotica o ostruttiva delle carotidi è responsabile, con eziopatogenesi embolica o emodinamica, del 15-20% degli ictus: può capitare infatti che la placca aterosclerotica vada incontro ad una rottura che determina la liberazione dentro il circolo, quindi nella carotide, di sostanze emboliche che possono occludere le arterie più periferiche ovvero all’interno del cervello. Altre volte la placca può svilupparsi in maniera significativa fino a determinare un restringimento quasi completo della carotide e quindi occludere completamente il vaso.

In soggetti fra i 30 e i 79 anni la prevalenza della lesione ateromasica è del 21%, ma la stenosi di restringimento vera e propria si verifica nell’1,5% dei casi.

La stenosi è sintomatica quando il paziente ha avuto episodio ischemico cerebrale o retinico, ovvero un episodio di ictus nei 3 mesi precedenti oppure a livello di un occhio con cecità improvvisa (amaurosi) che può essere anche di brevissima durata.

Le stenosi carotidee possono essere anche completamente asintomatiche: è risaputo che questa coorte di pazienti è a maggior rischio di ictus cerebri rispetto a quelli che abbiano avuto un episodio ischemico.

I pazienti sintomatici che hanno un restringimento tra il 70 e il 99% possono avere un’incidenza di ictus del 13% nel primo anno e fino al 35% nei 5 anni successivi; i pazienti asintomatici con stenosi tra il 60 e il 90% hanno un’incidenza del 2%

Se ai controlli viene rilevata una stenosi del 30/40/50% si fa solo terapia medica con controllo della pressione, dei livelli di colesterolo in particolare LDL, glicemia, Hb glicata. In più, si raccomandano la perdita di peso, l’astensione dal fumo e l’assunzione quotidiana di un antiaggregante. 

Se si arriva al trattamento chirurgico, esso può essere open o endovascolare: la prevenzione è secondaria quando si interviene per correggere chirurgicamente un restringimento che ha già dato sintomi, oppure primaria se si interviene su un paziente che ha già una stenosi importante senza aver avuto sintomi. Le linee guida negli asintomatici dicono che è raccomandata solo la terapia medica ottimale con stenosi fino al 70%, mentre è posta indicazione chirurgica per una stenosi maggiore. Non tutti i pazienti verranno sottoposti a intervento chirurgico, in quanto il tasso di complicanze intra-, peri- o post-operatorie deve essere inferiore al 3% e l’aspettativa di vita superiore ai 3 anni.

Nei sintomatici, quando il paziente ha una stenosi sintomatica uguale o maggiore al 70% è raccomandato sempre l’intervento, considerando un rischio intra-, peri- e post-operatorio che deve essere inferiore al 6%.

Francesca Genoni

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