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Allergie e donazioni: come comportarsi?

Ah, primavera! Si destano i merli, i peschi fioriscono… volano gli starnuti. 

Sono belle considerevoli, in questo periodo, le grane di chi ogni singolo anno si ritrova vessato dall’allergia. Effettivamente, più perseguitato di un allergico c’è solo un altro soggetto: il donatore allergico. L’insorgere dell’allergia, infatti, può interferire con le buone intenzioni di chi vuole donare il sangue: molte donazioni vengono rinviate, talvolta addirittura sospese.

Di primo acchito parrebbe soltanto un eccesso di zelo, una precauzione tutto sommato superflua da parte del centro trasfusionale. Perché farsi tutti questi problemi per una condizione innocua e comune come l’allergia? Perché precludere a tanti avisini la possibilità di mettersi in gioco?

La reazione allergica è una risposta sproporzionata del sistema immunitario, con cui esso si oppone ad una o più sostanze (i pollini, in questo caso) erroneamente ritenute pericolose per l’organismo. Un vero e proprio “falso allarme”, come quando uno fa per aprire la portiera dell’auto e quella prorompe inspiegabilmente negli strilli dell’antifurto. Già, erroneo, inspiegabile… Fatto sta che l’antifurto scatta: per quanto “falso”, l’allarme c’è e si fa sentire. Quella allergica sarà anche una reazione fallace, ma ciò non toglie che è concreta, ciò non toglie che avviene, e questo non può essere trascurato ai fini di una donazione sanguigna. Le difese immunitarie si mobilitano contro l’allergene (la sostanza percepita come “minaccia”), ed è appena il caso di precisare che il sangue si trova in prima linea in questo dispiegamento di forze: irritazioni, eritemi e rossori cutanei, manifestazioni tanto consuete di molte reazioni allergiche, sono determinate proprio dall’affluenza di sangue verso la zona “in pericolo”; i capillari lì localizzati si dilatano e si riempiono di globuli bianchi e di globuli rossi carichi di ossigeno, così da far fronte alla apparente “insidia”. Insomma, lo stato del sangue finisce per risultare alterato rispetto alla norma; va da sé che avrebbe ben poco senso donare in una circostanza del genere.

Il criterio seguito dal centro trasfusionale è allora il seguente: per poter effettuare una donazione di sangue, devono essere trascorsi almeno 3 giorni dalla cessazione di tutti i sintomi allergici. Ora, aggirare questa complicazione non sembrerebbe così impossibile, dal momento che antistaminici e farmaci cortisonici, in genere, consentono di raggiungere condizioni stabili alla maggior parte dei soggetti allergici. Il problema è che i principi attivi dei medicinali circolano nel sangue, ovviamente, andando ancora una volta a comprometterne e sbilanciarne la composizione; è per questo che la loro assunzione deve essere interrotta 15 giorni prima di andare a donare. Quindi, ricapitolando: l’aspirante donatore smette di assumere i farmaci 15 giorni prima dell’eventuale donazione; dopodiché, solo se almeno 3 giorni prima di quella data i sintomi cessano, e solo se non si presentano nemmeno il giorno stesso della donazione, allora la seduta può tenersi, altrimenti no.

Diverso è il caso di persone che nella loro vita hanno sperimentato anafilassi (shock anafilattico), cioè quel tipo di reazione allergica improvvisa e violenta che comporta un crollo della pressione sanguigna e impedimenti respiratori: coloro che hanno una storia documentata di anafilassi sono esclusi definitivamente dalla donazione. 

Ad ogni modo, è bene precisare che l’essere soggetti solitamente allergici non rappresenta di per sé un fattore pregiudicante per la donazione: il problema sorge solamente laddove ci sono i sintomi, e non è detto che questi si palesino per forza tutti gli anni. Già nel 2020 molti di noi hanno constatato che, tra gli effetti collaterali della quarantena, ce ne sono anche di positivi. In particolare, tanto le pareti domestiche quanto la mascherina si sono rivelate barriere efficaci contro le grinfie dei pollini, aiutandoci a tenere a distanza anche l’allergia.

Chissà, magari quest’anno dovrai ringraziare la pandemia se riuscirai a provare l’ebbrezza della donazione primaverile. Ma anche se così non fosse, beh… inutile ricordare che il valore del dono è lo stesso in qualsiasi stagione.

A cura di Enrico Forte

Donatori e vaccino, le dichiarazioni di Avis Nazionale

In questi giorni si sta parlando molto dell’accordo raggiunto per vaccinare anche i donatori contro il Covid.
Di seguito riportiamo le dichiarazioni di AVIS Nazionale inerenti alla campagna vaccinale che inizierà, per i donatori, solo dopo le categorie più a rischio già individuate dal piano vaccinale attuale.

Al momento perciò non è ancora stata indicata una data di inizio di somministrazione del vaccino per i donatori.

Scientificamente Avis: La trombosi

La trombosi è una malattia cardiovascolare e si caratterizza per la formazione di trombi nei vasi sanguigni.

Con ‘’trombo’’ si identifica una massa solida costituita da fibrina contenente piastrine, globuli rossi e bianchi, che si forma nel processo di coagulazione del sangue all’interno di un sistema cardiovascolare non interrotto. Queste masse possono formarsi in qualsiasi punto del sistema cardiovascolare, sono sempre ancorate alle pareti del vaso e ostruiscono o rallentano la normale circolazione sanguigna. La condizione peggiora quando i trombi vanno ad occludere grossi vasi arteriosi, privando di ossigeno e nutrimento parti di organi vitali fino a causare la necrosi (alterazione funzionale irreversibile dell’organo).

A seconda del tipo di vaso coinvolto si parla di trombosi arteriosa o venosa. Le trombosi venose sono più frequenti e si localizzano maggiormente negli arti inferiori, vengono distinte in Trombosi Venosa Profonda (TVP) se la formazione di trombi avviene nelle vene profonde, generalmente delle gambe, e Trombosi Venosa Superficiale, se avviene nelle vene superficiali.

In caso di Trombosi Venosa Superficiale o ‘’tromboflebite’’, il trombo interessa una vena infiammata posta appena sotto la cute e porta ad una stasi circolatoria con comparsa di edema, cioè un accumulo di liquido negli spazi tissutali, causando un anomalo rigonfiamento lungo la vena ed una reazione infiammatoria acuta. È generalmente conseguenza di uno o più fattori di rischio, come vene varicose, terapie con estrogeni, fumo, obesità, sedentarietà e gravidanza.

Più critica è la condizione di Trombosi Venosa Profonda, poiché il trombo evolvendo variamente, talora anche disgregandosi, può portare alla formazione di ‘’emboli’’ che danno luogo ad una tromboembolia.

La Tromboembolia venosa (TEV) si riferisce al distaccamento del trombo o di un frammento di esso, che migra nel circolo ematico, generalmente raggiungendo il cuore destro e da qui un vaso sanguigno polmonare, ostruendo il flusso ematico verso una porzione del polmone stesso (Embolia polmonare), con esiti fatali a seconda della grandezza dell’embolo.

Poiché quasi tutte le masse trombotiche possono staccarsi e diventare embolo, la TVP viene anche chiamata ‘’Malattia Tromboembolica’’.

Altre preoccupanti conseguenze sono la carenza di afflusso di sangue all’arto inferiore, un’insufficienza venosa cronica, una diminuzione o interruzione dell’apporto di sangue (ischemia) in un distretto corporeo, che se non ripristinata porta alla compromissione degli organi coinvolti (per esempio infarto o ictus).

Alla base della trombosi possono esserci molteplici fattori scatenanti, i principali sono tre e sono rappresentati nella cosiddetta ‘’Triade di Virchow’’

 Danno endoteliale, ovvero un trauma a carico del rivestimento venoso

 Ipercoagulabilità del sangue, in seguito ad alcune condizioni come tumori o patologie ereditarie, che causano un processo di coagulazione anche quando non dovrebbe avvenire;

 Stasi o turbolenza del flusso sanguigno

Il rischio di Trombosi Venosa Profonda non può essere eliminato completamente, può però essere ridotto in diversi modi, ad esempio facendo attività fisica giornaliera e utilizzando dispositivi di compressione pneumatica intermittente. È inoltre importante non sottovalutare la sintomatologia, anche se si presenta in forma lieve, alcuni esempi: dolore in corrispondenza di una vena, arrossamenti visibili, sensazione di calore e bruciore, mancanza di fiato o tachicardia.

A cura di Marta Pieretti

Scientificamente Avis: Salt Awareness Week – Consumare sale in maniera consapevole

La “Settimana Mondiale per la riduzione del consumo di sale”, in inglese “Salt awareness week”, tenutasi quest’anno dall’8 al 14 marzo, è il nome della campagna mondiale di sensibilizzazione proposta dalla World Action on Salt, Sugar and Health (WASSH), volta a spingere l’intera popolazione verso una scelta di alimenti meno ricchi di sale, come suggerisce anche lo slogan della campagna: “Meno Sale e Più Gusto”.

La necessità di una simile iniziativa nasce dalla consapevolezza di un consumo massivo e piuttosto allarmante di quantità oltremodo eccessive di sale: dati del progetto CUORE 2018-2019 promosso dall’ISS indicano consumi giornalieri di sale oltre la dose massima indicata dall’OMS (5g): 9,5g per gli uomini e 7,2g per le donne. Secondo la WASSH, se si riducesse il consumo a meno di 5g al giorno, si potrebbero prevenire circa 2,5 milioni di decessi ogni anno.

Si tratta di un accorgimento tanto semplice quanto importante, in grado di prevenire l’aumento della pressione arteriosa e delle patologie correlate come ictus, infarto e scompenso cardiaco, ma anche cancro e malattie del rene. 

Perdipiù, la pressione arteriosa costituisce un limite alla donazione: i valori compatibili con la donazione di sangue devono essere, di norma, compresi tra 110 e 180 per la pressione massima. Lo scopo, come per tutte le altre limitazioni (peso, età, etc…), è quello di non provocare malori associati al prelievo. La sottrazione di circa 450 mL di sangue può, infatti, provocare variazioni della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca che possono causare malori in tutti quei soggetti che presentano valori pressori anomali.

Il primo passo per consumare sale in maniera più consapevole è leggere le tabelle nutrizionali dei prodotti confezionati. Per 100g di prodotto, più di 1.2g di sale è da considerarsi eccessivo. In molti Paesi, infatti, circa il 75% del sale consumato non è aggiunto ma è già presente nei cibi processati e confezionati: è il cosiddetto “sale nascosto”, presente anche negli alimenti più insospettabili come pane, cereali, salumi e formaggi, specialmente quelli stagionati. Comunemente viene riportato il valore di sale e non quello di sodio: il Regolamento UE 1169/2011, in vigore anche in Italia, prevede in effetti che l’etichetta degli alimenti riporti il contenuto di sale e non quello di sodio, per una questione di chiarezza nei confronti dei consumatori. Dalla quantità di sale si può comunque facilmente risalire a quella di sodio, dividendo il valore per 2,5. 

Quali sono i rischi legati al consumo di sale? Sulla base delle predisposizioni individuali, un aumento della pressione arteriosa può provocare, fin dall’infanzia, danni vascolari: l’effetto di un’eccessiva pressione del sangue sulle pareti dei vasi (a cui corrisponde una perdita di velocità di scorrimento del sangue in quel tratto di torrente circolatorio) può determinare, dopo una progressiva dilatazione del calibro del vaso, lo sfilacciamento delle sue pareti e quindi gravi aneurismi, che possono concludersi in emorragie interne agli organi irrorati dal vaso. 

Il motivo biologico alla base dell’aumentata pressione sistolica risiede nel fatto che l’eccessivo uso di sale stimola il sistema nervoso ortosimpatico e lo induce a rilasciare una quantità maggiore di adrenalina ormone prodotto dalla midollare del surrene ma liberata anche a livello delle sinapsi del sistema nervoso centrale – coinvolta nella reazione di attacco o fuga. A livello sistemico i suoi effetti comprendono aumento della frequenza cardiaca, del volume sistolico, della gittata cardiaca  (cioè il volume di sangue che i due ventricoli riescono ad espellere in un minuto attraverso l’arteria polmonare e l’aorta) e una vasocostrizione più evidente delle arterie, ovvero un restringimento della sezione del vaso, che determina un aumento della pressione e a lungo andare porta all’ipertensione, uno stato costante in cui la pressione arteriosa a riposo risulta più alta rispetto agli standard fisiologici. 

Non solo: il consumo eccessivo di sale porta al “volume ampliato di ipertensione“, ovvero ritenzione di liquidi in eccesso all’interno del sistema della circolazione arteriosa, quindi un aumento del volume del sangue che scorre e dunque della pressione arteriosa. 

Troppo sale in circolo comporta anche una perdita di calcio con le urine, quindi maggiori rischi di calcolosi renale (deposito di calcoli nelle vie urinarie, normalmente di ossalato di calcio) e di osteoporosi (perdita di massa ossea). 

Non bisogna quindi sottovalutare gli effetti che il sale può avere sulla nostra salute, considerato che l’abitudine a mangiare salato può anche generare una forma di “dipendenza”, tale per cui il nostro cervello può desiderare sale anche senza che il nostro corpo ne abbia bisogno. 

Ecco un breve e semplice vademecum, proposto dal Ministero della Salute, con alcune semplici abitudini da assumere e coltivare per un consumo di sale più consapevole:

  1. Al posto del sale, usa erbe aromatiche, spezie, aglio o agrumi
  2. Risciacqua verdure e legumi in scatola e mangia più frutta e verdura fresca 
  3. Scegli i prodotti alimentari meno salati, controlla l’etichetta
  4. Riduci gradualmente il sale nelle ricette preferite 
  5. Non mettere a tavola sale e salse salate

 

A cura di Francesca Genoni

“Perché no?” Intervista a Giacomo Colombo, donatore di Avis Busto e volto di Avis Nazionale

Iniziamo oggi una rubrica che speriamo man mano di poter estendere in futuro, coinvolgendo altri donatori che possano lasciarci una loro testimonianza diretta della donazione, di cosa significa per loro donare, delle paure che hanno affrontato la prima volta e, perché no, qualche suggerimento sia per l’Associazione che per eventuali indecisi.

Con la speranza di riuscire, così, a convincere anche loro dell’importanza di un piccolo gesto.

 Abbiamo chiamato la rubrica con una domanda: “Perché no?” che è per noi a sua volta la risposta a un’altra domanda: “Perché doni?”.

Non siamo riusciti infatti a trovare nessun motivo per non farlo (oltre, naturalmente, a motivi di salute, età, peso, ecc., comunque essenziali per la sicurezza di chi dona e di chi riceve).

 

Per inaugurare la rubrica, abbiamo intervistato Giacomo Colombo, giovane donatore avisino di Busto Arsizio, nonché volto di Avis Nazionale per la campagna del servizio civile (lo trovate anche in homepage sul loro sito www.avis.it!)

Ciao Giacomo! Per cominciare, perché non ci dici qualcosa su di te?

Sono Giacomo, ho 22 anni e sono di Busto Arsizio. Frequento il quarto anno di Ingegneria Civile al Politecnico di Milano e sono donatore dalla maggiore età. Ho giocato a tennis a livello agonistico e ho molte passioni, forse anche frutto del fascino per la complicazione e la conoscenza di derivazione ingegneristica.

Come sei diventato volto di AVIS Nazionale?

Sono stato contattato dalla segreteria di Avis Nazionale circa un mese prima del giorno dello shooting fotografico, attraverso il mio profilo Instagram @jackcolombo, dove solitamente condivido momenti della mia vita perlopiù felici. Lì sono anche presenti foto di mie esperienze passate da “modello”, per quanto certamente la ritenga più una passione/hobby che un lavoro.

Dopo una veloce presentazione di entrambe le parti son stato selezionato fra altri modelli per il servizio fotografico.

Il giorno dello shooting ho incontrato Boris Zuccon e Leandro Contino, Responsabili della Comunicazione di Avis Nazionale, oltre che i membri dello staff dello studio fotografico Photostudio 1619 Milan.

Con me vi erano un altro ragazzo e due ragazze, chi contattato mediante la propria Fashion Agency, chi, come me, mediante il proprio account Instagram.

Il team che si è creato è sembrato fin da subito energico, concentrato sul lavoro e molto partecipe, sicuramente un elemento distintivo di questa esperienza rispetto ad altre che ho avuto in questo campo.

Come ti senti a mettere la tua immagine al servizio di un’associazione importante come AVIS?

Sinceramente è stato un onore poter essere fotografato per Avis, perchè mi ha permesso di vivere da un altro punto di vista un’avventura iniziata con la donazione. È probabilmente l’esperienza, di questo tipo, che mi ha dato più ritorno fin da subito a livello emozionale e di orgoglio soprattutto.

La tua collaborazione con AVIS infatti non si esaurisce qui… Raccontaci della tua esperienza come donatore!

Sicuramente particolare è l’inizio. Tutto ha preso avvio con un evento organizzato alle superiori da un professore di educazione fisica, Maurizio Moscheni, che presentò a tutti gli studenti, mediante testimonianze e personalità di spicco, cosa volesse dire donare e essere uniti da un filo rosso. Originariamente provavo abbastanza fastidio alla sola vista di un ago, ma, come spesso mi capita di fare in situazioni scomode, ma che reputo interiormente profondamente giuste, preferisco correrci incontro chiudendo un po’ gli occhi, il giusto che mi permetta di “lanciarmi”.

Così, dopo l’iscrizione e la visita di controllo, ho donato per la prima volta. Inutile dire che il fastidio è stato superato e che non ho mai smesso.

Che cosa significa per te donare il sangue?

Come accennavo, andare periodicamente a donare mi permette di ritrovare una dimensione essenziale di umanità che se è tanto vero che di base dovrebbe interessare tutti noi, è altrettanto vero che nella quotidianità così spinta di una Milano frettolosa (che ho vissuto prima della pandemia, da pendolare, per diversi anni) si tende a dimenticare. Effettivamente per me donare è un piccolo sacrificio, perché fortunatamente non ho cali di pressione, giramenti o altro e ciò mi permette, a fronte di un piccolissimo momento di incertezza al contatto con l’ago, di mettermi in condizione di poter donare davvero molto. In una parola: la vita.

Qual è la tua parte preferita della donazione? 

Ovviamente il panino con la mortadella. Scherzo, sicuramente il dedicare qualche ora e, generalizzando, la mattinata, al pensiero di cui parlavo prima: poter pensare agli altri e non a ciò che devo fare per me. Come dicevo, credo sia qualcosa di molto sottovalutato oggigiorno, da rivalutare.

Se tutto fosse possibile, qual è una cosa che cambieresti per agevolare la procedura della donazione?

Non penso di essere nella condizione di poter suggerire una logistica o, addirittura, una organizzazione migliore a chi raccoglie sangue da inizio secolo scorso. Credo solo di voler ricordare ancora una volta quanto sia importante raccontare cosa significa donare e magari, perchè no, invitare a provare (dopo prelievo di controllo e relativa idoneità, ovviamente). Nel mio mondo ideale penso possa essere magnifico veder donare tutte le persone idonee a farlo.

Scientificamente Avis: L’eritroblastosi fetale

L’eritroblastosi fetale o malattia emolitica del neonato (MEN) è una patologia causata dalla distruzione dei globuli rossi fetali da parte degli anticorpi materni. È anche detta infatti malattia emolitica anti-D, per la presenza nel circolo sanguigno di anticorpi anti-D di origine materna, che si sviluppano in seguito al contatto con l’antigene D durante la prima gravidanza. 

Per comprendere il significato della malattia occorre ricordare che ogni gruppo sanguigno (A, B, AB, 0) si distingue ulteriormente per il fattore Rh, in riferimento alla presenza o meno del determinante antigenico D (codificato dal gene RhD) sulla superficie dei globuli rossi. La parte di popolazione Rh negativa presenta una mutazione sul gene RhD che li rende privi di questa proteina e, di conseguenza, possono produrre anticorpi contro la stessa, presente invece sulla superficie dei globuli rossi della popolazione Rh positiva. 

Normalmente il sangue materno e quello fetale non vengono mai a contatto tra di loro, ma può succedere che a partire dal quarto mese, attraverso microscopiche fratture presenti nella membrana placentare, globuli rossi fetali passino nel circolo materno e viceversa, soprattutto durante il parto. Se il feto è Rh positivo e la madre Rh negativa, i globuli rossi del feto a contatto con quelli della madre possono stimolare la produzione di anticorpi anti-D da parte del sistema immunitario della madre. 

Durante una seconda gravidanza (supponendo un feto Rh positivo), se questi anticorpi precedentemente prodotti passano nel sangue fetale possono causare l’emolisi dei globuli rossi Rh positivi del feto con conseguente anemia fetale. Essendo già avvenuta una risposta primaria durante la prima gravidanza, sono sufficienti anche minime quantità di sangue per scatenare la risposta immunitaria: gli anticorpi anti-D riconosceranno gli eritrociti fetali come estranei distruggendoli. Si chiama “eritroblastosi fetale” proprio perché, per fare fronte alla grave anemia, il midollo osseo del feto immette in circolo gli eritroblasti, i precursori degli eritrociti. 

Alcuni feti con questa malattia non riescono a compensare l’ingente perdita di globuli rossi: tale condizione può quindi provocare la morte del feto se non si interviene con un parto pretermine o con trasfusioni intrauterine, intraperitoneali o endovenose di globuli rossi Rh negativi fino alla nascita che sopperiscano all’emolisi. 

L’eritroblastosi fetale può insorgere anche in caso di incompatibilità di gruppo AB0: questa variante è più frequente e può colpire indifferentemente qualunque figlio (mentre quella da Rh colpisce solo gravidanze successive alla prima) determinando però un’emolisi di scarsa intensità.

Attualmente l’eritroblastosi fetale è un’affezione relativamente rara perché l’immunoglobulina RhD somministrata alla madre previene in genere lo sviluppo di questa patologia nel feto. È comunque possibile che si verifichino anemia fetale e iperbilirubinemia: la concentrazione di bilirubina non coniugata in forma libera (derivata dal catabolismo dell’emoglobina) e di altri pigmenti nel liquido amniotico, infatti, è correlata al grado della malattia emolitica. 

Per definire il grado di questa malattia si può utilizzare, appunto, l’amniocentesi, una comune procedura diagnostica prenatale invasiva effettuata a circa 15 settimane di gravidanza, che prevede il prelievo di un campione di liquido amniotico tramite un ago inserito nella parete addominale anteriore e quella uterina della madre, fino a raggiungere la cavità amniotica. È una procedura relativamente priva di rischi, utile anche per identificare la presenza di anomalie genetiche. Prelevando liquido amniotico, infatti, si prelevano anche cellule di sfaldamento che derivano dalla superficie dell’embrione, dei rivestimenti interni e amnioblasti, cellule che rivestono la cavità amniotica di derivazione embrionale e quindi con lo stesso DNA del feto. Un altro metodo utilizzato è il test di Coombs diretto, che rileva sulla superficie dei globuli rossi circolanti nel sangue la presenza di anticorpi.

Resoconto dell’Assemblea annuale

Domenica 21 febbraio si è tenuta presso l’Aula Magna della Scuola Media “Enrico Fermi” di Fagnano Olona l’Assemblea Annuale Ordinaria della sezione AVIS di Busto Arsizio e Valle Olona, che ormai da 83 anni dà appuntamento a soci e donatori,  per la prima volta trasmessa anche online.

Con questa Assemblea si è concluso anche il mandato quadriennale del presidente Marco Roncari, che dopo quattro anni di entusiastica dedizione all’Associazione ha ringraziato donatori, consiglieri e collaboratori per la solidarietà dimostrata e l’aiuto offerto, in particolar modo nel corso dell’ultimo anno di pandemia da Coronavirus, le cui vittime sono state ricordate con un momento di silenzio.

Al termine dell’Assemblea si sono anche tenute le votazioni per la formazione del nuovo Consiglio Direttivo, che presto si riunirà per eleggere il nuovo presidente.

Per consentire a tutti gli interessati di approfondire le principali tematiche trattate, vengono qui pubblicati i documenti che si possono aprire cliccando sopra il link:

Assemblea Avis annuale, domenica 21 febbraio ore 9.30

Come da precedente comunicazione, l’Assemblea annuale quest’anno si terrà online domenica 21 febbraio dalle ore 09.30.

L’accesso in presenza sarà infatti concesso esclusivamente al Consiglio direttivo uscente e ad eventuali candidati per il nuovo Consiglio (la candidatura si può far pervenire presso la Segreteria inviando una mail a info@avisbusto.it o chiamando il numero: 0331 381180).

Sarà comunque possibile partecipare online, ascoltare gli interventi, avere la parola e prendere visione dei documenti tramite la piattaforma Google Teams, cui è possibile accedere con un semplice click al seguente link:
http://bit.ly/3apZo2b

Al click si aprirà una nuova pagina di navigazione, sarà sufficiente scegliere l’opzione “Continua in questo browser” per accedere alla riunione senza scaricare alcuna app.

Procedendo, comparirà un avviso per consentire alla piattaforma di utilizzare microfono e videocamera. Consigliamo di cliccare su “Consenti”.

Infine, sarà sufficiente inserire il proprio “Nome e Cognome” (se si desidera) e scegliere l’opzione “Videocamera accesa/spenta” e “Microfono acceso/spento” che si preferisce.

Per eventuali problemi tecnici la mattina dell’incontro, contattare il numero: 328 4342387 (in funzione esclusivamente domenica 21 febbraio)

Ricordiamo l’Ordine del Giorno:

 1. Nomina del Comitato Elettorale con funzioni di seggio
 2. Presentazione delle relazioni Associativa, Finanziaria, del Conto Consuntivo, e della relazione del Collegio sindacale per il 2020
 3. Presentazione della relazione Sanitaria
 4. Discussione delle relazioni Associativa e Finanziaria, repliche e votazioni
 5. Determinazione del numero dei Consiglieri da eleggere
 6. Disposizioni del Comitato Elettorale in ordine alle modalità di votazione delle cariche direttive per il quadriennio 2021-2024
 7. Nomina dei delegati per l’Assemblea Provinciale
 8. Nomina dei candidati a delegato per le Assemblee Regionale e Nazionale
 9. Nomina dei candidati per i Consigli Provinciale, Regionale e Nazionale
 10. Presentazione, discussione, repliche e votazione del bilancio di previsione per il 2021
 11. Varie
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