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Categoria: Avis News

La calza della Befana per i più piccoli

Anche quest’anno la Befana è arrivata a portare i suoi doni ai più piccoli!

Grazie ai volontari della Sottosezione di Avis Borsano infatti, i bambini delle Scuole dell’Infanzia San Giuseppe e Soglian di Borsano hanno ricevuto in questi giorni, con l’aiuto delle loro maestre, la tradizionale calza della Befana, contenente dolci, ma anche un biglietto di presentazione della realtà avisina.

Una tradizione ormai consolidata per rinsaldare il legame tra Avis e il territorio.

In foto, i volontari intenti a confezionare le 165 calze distribuite ai bambini.

Quando il cuore si ammala: le principali cardiopatie

Il cuore è il centro motore del nostro apparato circolatorio: esso “pompa” ininterrottamente sangue a tutte le parti del nostro organismo, affinché ogni cellula di ciascun distretto corporeo venga continuamente rifornita delle sostanze necessarie al suo corretto funzionamento e, ancora prima, alla sua sopravvivenza. È fondamentale quindi che il cuore lavori bene, sia a riposo che sotto sforzo, perché una condizione patologica non trattata tempestivamente potrebbe rivelarsi fatale. Per comprendere meglio alcune di queste situazioni, è opportuno descrivere l’anatomia di quest’organo “nobile”, proprio perché di vitale importanza. 

Il cuore è un organo muscolare cavo situato in una regione del torace nota come mediastino, all’interno della loggia cardiaca. Presenta due atri, separati fra loro dal setto interatriale, e due ventricoli, separati dal setto interventricolare. Ciascun ventricolo presenta un orifizio venoso, gli orifizi atrioventricolari destro e sinistro, e uno arterioso, l’orifizio aortico a destra e l’orifizio del tronco polmonare a sinistra, ciascuno provvisto di valvole: tricuspide, mitrale e semilunari rispettivamente. La faccia anteriore (sternocostale) del cuore è percorsa dal solco interventricolare anteriore, in cui decorre l’arteria interventricolare anteriore, e dal solco coronario o atrioventricolare, in cui decorrono le arterie coronarie destra e sinistra, responsabili dell’irrorazione del cuore. La faccia inferiore (diaframmatica) è percorsa dal solco interventricolare posteriore, in cui decorre l’arteria interventricolare posteriore. L’intero organo è avvolto da una membrana sierosa, il pericardio

Il miocardio, ovvero la muscolatura cardiaca, è distinto in miocardio di lavoro e miocardio di conduzione o specifico: il primo è responsabile della contrazione meccanica delle fibre cardiache, costituite da cellule dette cardiomiociti. I cardiomiociti sono cellule con un metabolismo prevalentemente lipidico: ciò significa che si nutrono perlopiù di grassi, sostanze che rappresentano quindi la primaria fonte di energia cardiaca. L’affinità per queste molecole è addirittura maggiore rispetto a quella degli adipociti, cellule del tessuto adiposo.

Il secondo si occupa della corretta trasmissione dell’impulso elettrico che conduce, appunto, il segnale di contrazione. Un aspetto estremamente importante del miocardio di conduzione è che questo funziona in maniera indipendente dal sistema nervoso: le cellule che ne fanno parte si auto-depolarizzano, avviando autonomamente la trasmissione dell’impulso. Le aree specifiche del miocardio di conduzione sono, in ordine, il nodo seno atriale NSA, situato in prossimità dell’ingresso della vena cava superiore e da cui origina l’impulso, il nodo atrio ventricolare NAV, situato sul pavimento dell’atrio di destra, il fascio di His, che attraversa lo scheletro fibroso del cuore, e le fibre del Purkinje. Tale disposizione è finalizzata alla contrazione sfalsata di atri e ventricoli. Quindi, quando si parla di morte cerebrale, si fa riferimento a una situazione il cui tronco encefalico (mesencefalo, bulbo e ponte) del paziente cessa di funzionare, questo smette di respirare autonomamente ma il suo cuore continua a battere. Le fibre nervose devono solo controllare la modulazione degli impulsi del sistema di conduzione.

Sono numerosissime le cardiopatie, a partire da quelle congenite come il forame ovale pervio o la tetralogia di Fallot, a quelle più comuni come l’infarto, l’arresto cardiaco e lo scompenso cardiaco.

La parola infarto deriva dal verbo latino infarcire, ovvero occludere. Rappresenta una situazione in cui un vaso arterioso si occlude (a causa, ad esempio, di placche aterosclerotiche), la zona da esso irrorata, infartuata, non riceve più sangue e ossigeno e questo ne comporta la necrosi, cioè la morte. Quando l’infarto riguarda il muscolo cardiaco a otturarsi sono le arterie coronarie e si parla di infarto del miocardio. I sintomi sono tipici: sudorazione fredda e generale stato di malessere, dolore toracico che si irradia lungo il ramo sinistro della mandibola, il braccio (più frequentemente il sinistro), i vasi del collo e della gola. Questa “area d’interesse” è determinata da una certa disposizione delle vie del dolore a livello del midollo spinale, che origina il fenomeno del “dolore riferito”. Su uno stesso neurone di proiezione nel midollo spinale, infatti, convergono afferenze nocicettive provenienti sia dal sistema muscolo-scheletrico, sia dai visceri. Questa organizzazione ci impedisce di determinare con certezza la sede dolente. Data la maggiore probabilità ad attribuire l’origine del dolore all’esterno piuttosto che all’interno dell’organismo, proiettiamo direttamente il dolore sulla superficie del nostro corpo, nonostante esso provenga da un viscere. La mappatura superficiale dei dolori viscerali è stereotipata: appurato quindi che in quella zona superficiale non vi sia alcuna causa reale che stia scatenando il dolore, allora la causa più probabile è che sia il viscere corrispondente a dare origine ad un dolore riferito in quella zona specifica. 

Fattori di rischio dell’infarto sono l’età avanzata, il sesso (fino agli anni della menopausa è più comune fra gli uomini), la familiarità con la malattia, lo stile di vita poco sano e sedentario, l’alimentazione troppo grassa e altre patologie correlate. Quando si manifesta un episodio acuto, l’unico trattamento efficace consiste nella riapertura della coronaria ostruita, pertanto solo un tempestivo intervento del 118 può aumentare le speranze di sopravvivenza del paziente. 

Molte persone confondono l’infarto del miocardio con l’arresto cardiaco. L’infarto del miocardio può causare l’arresto cardiaco, ma non ne è l’unica causa e non lo determina necessariamente. La causa principale dell’arresto cardiaco è infatti un’aritmia cardiaca severa che conduce a un cessazione immediata dell’attività elettrica cardiaca, quindi delle attività ad essa collegate come la respirazione, e richiede un immediato soccorso di rianimazione cardiopolmonare per evitare l’instaurarsi di danni permanenti al cervello e ad altri organi vitali, e nei casi più gravi la morte del paziente. Il paziente in arresto cardiaco perde immediatamente conoscenza e manifesta sintomi correlati ad alcune concause della malattia, fra cui lo scompenso cardiaco, condizione cronica in cui il cuore non assolve efficacemente alla sua funzione contrattile e che richiede una terapia farmacologica e talvolta di tipo interventistico, come l’impianto di pacemaker e defibrillatori biventricolari.

A cura di Francesca Genoni

 

Fonti: 

AA.VV. Anatomia umana topografica, edi-ermes, 2019.

Lezioni della prof.ssa Marcella Reguzzoni e del professor Andrea Moriondo dell’Università degli Studi dell’Insubria

https://www.humanitas.it/malattie/infarto-del-miocardio/

https://www.humanitas.it/news/qual-la-differenza-infarto-arresto-cardiaco/

https://www.humanitas.it/malattie/scompenso-cardiaco/

Gli effetti dello sport sulle attività cerebrali

Con l’arrivo della stagione invernale e delle rigide temperature, siamo meno motivati nel fare sport, soprattutto se all’aperto. Tuttavia, sappiamo bene quanto la sedentarietà non faccia bene alla nostra salute, siamo però meno consapevoli degli effetti negativi che ha sulla nostra salute mentale.

Ci sono buoni motivi per essere fisicamente attivi. I principali riguardano la riduzione delle probabilità di sviluppare malattie cardiache, ictus e diabete. L’attività fisica è anche indispensabile per prevenire l’obesità e mantenere il peso forma.

Studi recenti hanno rivelato gli effetti profondi sui processi mentali, in particolare mettono in evidenza quanto sia utile restare attivi e fare attività fisica per migliorare il funzionamento cognitivo, la salute mentale e la memoria.

Nell’articolo ‘’Exercise is Brain Food’’ (2008) di Michelle Ploughman vengono presentate le tre teorie neuroscientifiche dominanti che spiegano l’impatto positivo sul funzionamento cognitivo.

Durante l’esercizio fisico, cuore e polmoni vengono messi sotto sforzo e il flusso sanguigno si velocizza, portando più ossigeno e sangue al cervello; in particolare nelle aree responsabili del processo decisionale e del ragionamento, migliorandone le funzioni.

Nonostante sia una forma di sforzo fisico, l’attività sportiva può favorire il rilassamento. L’esercizio riduce i livelli di ormoni dello stress (come cortisolo) e favorisce il rilascio di endorfine, prodotte dal corpo per ridurre il dolore e migliorare l’umore. Inoltre, aumenta il numero di neurotrasmettitori, provocando una iperstimolazione della mente, che si traduce in un aumento di concentrazione, attenzione e livello di energia a breve termine.

Infine, fare esercizio fisico permette di regolare il numero e la produzione di neurotrofine, le proteine responsabili di sviluppo, sopravvivenza e funzione dei neuroni, le cellule fondamentali che compongono il cervello. L’aumento dei livelli di neurotrofine può portare alla generazione di nuovi neuroni (neurogenesi), in modo più limitato anche nei soggetti adulti, e favorire la neuroplasticità, ovvero la capacità del cervello di rigenerarsi continuamente.

Naturalmente gli effetti benefici cambiano a seconda della regolarità con cui si svolge attività sportiva. In caso di esercizio fisico regolare i vantaggi possono essere addirittura più importanti. Una stimolazione quotidiana permette, infatti, di rafforzare i circuiti neurali, tra loro interconnessi attraverso diversi punti di contatto, chiamati sinapsi.

Non è necessario essere atleti professionisti per ottenere benefici. Recenti studi affermano che fare attività aerobica moderata, come una camminata veloce, è sufficiente, ma deve essere svolta per almeno 30 minuti cinque volte a settimana.

Per concludere, è di fondamentale importanza ricordare che per avere uno stile di vita sano occorre combinare l’attività fisica con una dieta equilibrata e ricca di vegetali. Grazie all’effetto sinergico, oltre ad una migliore forma fisica, si riuscirà ad ottenere un senso generale di benessere e di salute mentale, con risultati positivi nella quotidianità.

 

A cura di Marta Pieretti

 

Fonti:  

https://www.news-medical.net/health/Positive-Effects-of-Exercise-on-the-Brain.aspx

https://positivepsychology.com/exercise-neurological-benefits/

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/18781504/

https://www.biopills.net/neurogenesi-ippocampale-adulta-indotta-attivita-fisica/

Vaccino contro la malaria: quanto è efficace?

È passato poco più di un mese da quando l’OMS ha approvato la distribuzione del Mosquirix (nome ufficiale: RTS,S/AS01), il primo vaccino contro la malaria. Si tratta della sofferta conquista di più di un trentennio di ricerche e tentativi, che avevano concluso il risultato già nel 2015 ricevendo però l’assennato invito, da parte dell’OMS, di proseguire con ulteriori accertamenti.

L’entusiasmo con cui è stata accolta questa svolta epocale, che rappresenta la prima vera speranza di prevenzione per una patologia che non ha mai smesso di vessare la vita sulla terra, rischia tuttavia di trascurare degli aspetti importanti.

Un’efficacia risicata

Purtroppo, infatti, va puntualizzato che l’efficacia del Mosquirix non si avvicina nemmeno lontanamente all’efficacia dei vaccini veramente riusciti. Il numero di casi gravi di malaria che esso si dimostra in grado di prevenire arriva a un risicato 30%, e questo solamente attenendosi a procedure ben precise, che prevedono la sua somministrazione in quattro dosi a bambini di età inferiore ai 5 anni.

Beninteso, è indiscutibile che questo 30% rappresenti uno strabiliante balzo in avanti, considerando che potrebbe tradursi in un calo di almeno 23.000 decessi infantili all’annopotrebbe, a patto che nei Paesi maggiormente tormentati dalla malaria (quindi i Paesi in cui la zanzara Anopheles trova il suo habitat ideale) i set completi delle quattro dosi vengano resi disponibili a tutti quanti i bambini.

Fino al 73%?

Di particolare interesse sono i dati stilati da un ricercatore del Mali, Alassane Dicko, che ha dichiarato che il Mosquirix può contribuire a ridurre le morti infantili per malaria anche di un notevole 73%, ma solo se usato in concomitanza all’assunzione mensile di specifici farmaci anti-malarici. Ed è, quest’ultimo, un “se” tutt’altro che irrilevante, dal momento che è stato appurato proprio quest’anno che certi plasmodi della malaria hanno sviluppato capacità di resistenza alla famiglia di farmaci finora in prima linea nella lotta al contagio.
In questo quadro generale della situazione, trovano solido fondamento le preoccupazioni di quegli scienziati che, di fronte all’eccitazione per l’approvazione del Mosquirix, temono che nel finanziare la distribuzione di questo vaccino si finisca per sottovalutare l’insostituibilità di altre misure di sicurezza. Insetticidi e zanzariere continuano ad essere i mezzi preventivi più pragmatici ed efficaci, e sarà cruciale, trattandosi di beni non così scontati nei Paesi dell’Africa in cui la malaria è endemica, che la loro messa a disposizione non venga sacrificata nel puntare i riflettori sul vaccino.

 

A cura di Enrico Forte

Giornata mondiale contro l’AIDS

1° dicembre. Oggi si celebra la Giornata Mondiale contro l’AIDS: un’occasione per continuare a mantenere alta l’attenzione nei confronti di una malattia che ancora oggi affligge molte persone e per sensibilizzare, in particolare i giovani, a seguire comportamenti che non siano a rischio. 

L’acronimo AIDS sta per ‘’Sindrome da Immunodeficienza Acquisita’’ e identifica lo stadio clinico più avanzato dell’infezione da HIV. 

L’HIV (‘’Virus dell’Immunodeficienza Umana’’) è un virus che attacca e distrugge un particolare tipo di globuli bianchi, indebolendo il sistema immunitario fino ad annullare la risposta contro altri virus, batteri e funghi. I soggetti che ne soffrono sono, inoltre, maggiormente predisposti a contrarre alcuni tipi di tumori causati da infezioni virali. 

Da quando la sindrome è stata individuata nel 1981, importanti progressi sono stati fatti nella ricerca scientifica. Essenziale nella lotta contro l’AIDS è stata la scoperta di una terapia antiretrovirale, che, nonostante non permetta di eradicare completamente l’infezione, è in grado di controllare la replicazione virale.

Grazie all’uso di questa terapia è possibile garantire alle persone Hiv-positive di avere buona qualità di vita e delle prospettive di vita simili a coloro che non sono Hiv-positivi.  

In caso di contagio, non è possibile osservare il virus in una specifica manifestazione. L’unico modo per diagnosticare con certezza la sieropositività all’HIV è sottoporsi ad un test: un normale prelievo del sangue con il quale si verifica la presenza di anticorpi anti-Hiv. 

Diverse sono le vie di trasmissione: sessuale (attraverso rapporti non protetti), ematiche (scambio o condivisione di strumenti contaminati) e verticale (da madre a neonato durante la gravidanza).

La trasmissione sessuale è la modalità di trasmissione più comune a livello mondiale. Infatti, l’AIDS è tra le Malattie Sessualmente Trasmissibili (MST) più diffuse e più pericolose a causa dell’assenza di un vaccino. La prevenzione gioca, quindi, un ruolo essenziale nello sconfiggere questa sindrome. 

Ancora oggi, però, assistiamo ad una scarsa consapevolezza degli individui nella possibilità di contagio. Ciò comporta un ritardo nell’accesso alle cure ed una conseguente diffusione, spesso inconsapevole, dell’infezione. 

Informare, educare e incentivare i giovani ad avere comportamenti adeguati e seguire stili di vita sani è, quindi, di fondamentale importanza. 

 

Il Progetto Nazionale ‘’B.E.S.T Choice’’, di cui Avis Nazionale è coordinatore, è stato istituito con l’obiettivo di diffondere e comunicare tematiche sensibili e di particolare interesse agli adolescenti; con lo scopo di renderli partecipi e divulgatori attivi in una campagna di comunicazione ‘’da e per i giovani’’ per disincentivare comportamenti a rischio. 

I partecipanti hanno concorso per ideare e progettare una campagna di comunicazione nella forma di un testo scritto, un video oppure un tipo di arte figurativa. I progetti dei vincitori del contest sono stati realizzati e diventeranno parte della nuova campagna di Avis. Diversi temi sono stati trattati: dall’abuso di alcol, all’alimentazione scorretta, fino alle malattie sessualmente trasmissibili.  

Dal titolo ‘’Fallo protetto, salva vite’’: il progetto vincitore del Contest è stato elaborato dai ragazzi dell’Istituto Einaudi Scarpa in provincia di Treviso. Gli studenti hanno cercato, non senza mostrare incertezze, di rispondere a delle domande in tema ‘’Malattie Sessualmente Trasmissibili’’. 

Di seguito ti proponiamo alcune domande a cui anche gli studenti hanno risposto. E tu, saresti in grado di rispondere?

(https://www.youtube.com/watch?v=mWhOV4ajFTc

 

 

VERO o FALSO?

Se trattate subito in modo corretto, le MST sono tutte curabili

FALSO – Alcune malattie come l’infezione da Hiv non sono curabili definitivamente. Tutte le altre sono, invece, guaribili. Tuttavia, se trascurate, possono provocare gravi danni. 

La spirale protegge sia dalle Malattie Sessualmente Trasmissibili sia dalle gravidanze indesiderate? 

FALSO – La spirale è un metodo anticoncezionale a lunga durata d’azione, ma non protegge dalle MST. 

Gli omosessuali non possono donare il sangue perché più propensi a contrarre Malattie Sessualmente Trasmissibili

FALSO – I criteri di selezione e di esclusione si basano sui comportamenti assunti e non sugli orientamenti. Nel nostro paese è concesso alle persone omosessuali di donare il sangue dal 2001. In molti paesi, però, questa possibilità è ancora vietata, anche a coloro con relazioni affettive stabili.

Esiste sia il preservativo maschile sia il preservativo femminile

VERO – Le caratteristiche sono simili a quello maschile, ma la donna può riscontrare maggiori difficoltà nel suo corretto posizionamento. Nonostante ciò, è un metodo anticoncezionale che protegge anche dalla diffusione delle MST. 

Il preservativo ha un’efficacia del 99,8% contro la diffusione delle MST? 

VERO – ll preservativo è uno dei metodi anticoncezionali più efficaci, oltre ad essere l’unico che protegge anche dalla MST. 

Le MST si possono trasmettere anche attraverso i rapporti orali 

VERO – Oltre al rischio di diffusione delle MST, i rapporti intimi che avvengono con tale modalità possono anche favorire l’insorgenza di infezioni urinarie, orali, faringee o respiratorie

Se si assumono spesso comportamenti a rischio o se si hanno avuto rapporti con una persona che potrebbe essere affetto da una MST non si può donare il sangue

VERO – Le persone, il cui comportamento sessuale le espone ad alto rischio di contrarre MST, vengono escluse permanentemente dalla donazione. Vengono, invece, escluse solo temporaneamente persone che hanno avuto rapporti sessuali con persone infette o persone di cui non si conosce lo stato sierologico.

 

Sulla Pagina Facebook di Best Choice (www.facebook.com/bestchoice.ilcontest) potrete visionare tutti i filmati finalisti del contest.

 

A cura di Marta Pieretti

Vaccinazione Antinfluenzale

Il Ministero ha individuato i donatori di sangue tra le categorie a cui spetta la somministrazione gratuita del vaccino antinfluenzale.

Da venerdì 19 novembre 2021, tutti i donatori potranno
accedere al portale di Regione Lombardia (https://vaccinazioneantinfluenzale.regione.lombardia.it) e prenotare la propria vaccinazione seguendo le procedure e i dati richiesti.

Ricordiamo che la sospensione prevista tra l’esecuzione del vaccino e la donazione è di 48h se asintomatici, 7gg in caso di sintomi.

La vaccinazione antinfluenzale è molto importante per i donatori, anche a tutela dell’autosufficienza di sangue ed emoderivati.

Covid-19: una ricognizione del Dr. Franzetti e del Dr. Saturni

Venerdì 29 ottobre si è tenuto il 19° Convegno della sottosezione di AVIS Borsano, questa volta incentrato sul tema “Covid 19 – Cosa è successo, la situazione attuale, il futuro che ci aspetta”. Dopo un momento di raccoglimento in memoria del nostro socio Pietro Secondin, scomparso lo scorso 25 ottobre e di cui il consigliere Luigi Pinciroli ha voluto ricordare «la verve, lo spirito, la battuta sempre pronta quando più era indispensabile», la parola è passata al Dr. Fabio Franzetti, infettivologo presso l’Ospedale di Busto Arsizio.

La particolarità dei coronavirus

Il Dr. Franzetti ha introdotto la sua disamina del fenomeno Covid-19 con una rapida ricognizione delle grandi pandemie del passato, mettendo in evidenza la grossa insidia dei coronavirus (quindi dell’influenza in generale) rispetto ad altri contagi: si tratta di una famiglia di virus che condividiamo con gli animali. È per questo che il proposito di eradicarli risulta così difficile, in quanto sarebbe impossibile mettersi a rastrellare, ad esempio, tutti i volatili del mondo per scovare tracce dell’infezione e poterla così sgominare. Al contrario, l’eradicazione di un virus come il vaiolo fu così efficace proprio perché, seppur i suoi effetti fossero più debilitanti e letali di quelli del Covid, si trattava di un virus che contagiava solo gli umani.

L’inaffidabilità delle “cure”

Franzetti ha proseguito passando in rassegna le mode più diffuse in fatto di trattamento del Covid-19, soprattutto soffermandosi sul ricorso a idrossiclorochina e quello a ivermectina.

Per quanto riguarda la prima, a determinare la sua fama fu la sponsorizzazione, all’inizio della pandemia, da parte del medico francese Raoult, che aveva somministrato l’idrossiclorichina a 24 pazienti di cui 18 erano poi guariti.

Franzetti fa tuttavia notare l’inconsistenza dei risultati, precisando che durante un’infezione virale bisogna distinguere tra una fase in cui effettivamente il virus è presente nell’organismo del paziente (e allora bisogna somministrare farmaci antivirali) e una fase in cui il virus di fatto non c’è più, ma in cui tuttavia i sintomi – che non sono altro che manifestazioni della risposta immunitaria al virus – ancora non si “spengono”, rendendo necessaria la somministrazione di analgesici e/o antipiretici per evitare ritorsioni sull’organismo stesso. Un medesimo paziente necessiterà quindi di farmaci differenti a seconda della fase che sta vivendo: somministrare un antipiretico nella prima fase è una perdita di tempo, così come ricorrere a un antivirale nella seconda fase.

È per questo che non è sufficiente associare alla somministrazione di idrossiclorochina la guarigione dei pazienti, in quanto non è chiaro se qualcuno di loro stesse già passando la seconda fase, in cui l’azione antivirale del farmaco sarebbe risultata del tutto inutile e a cui dunque non si può attribuire il merito della guarigione. 

Un numero più consistente di pazienti analizzati avrebbe forse aiutato a fare più chiarezza, ma in ogni caso una serie di esami successivi ha rivelato come sul lungo periodo l’uso di idrossiclorochina su pazienti positivi al Covid ne abbia addirittura leggermente aumentato la mortalità, probabilmente a causa dei suoi effetti collaterali sull’attività cardiaca.

Ancora più lampanti i rischi dell’ivermectina, messi in risalto dai dati del Centro Veleni dell’Oregon con 6 casi di intossicazione su 17 persone che la avevano assimilata. 

In entrambi i casi, dunque, la corsa all’acquisto di questi farmaci in una situazione in cui non erano di nessuna utilità ha solo causato il rapido esaurimento delle scorte, precludendone la disponibilità a chi invece ne aveva realmente bisogno.

L’opzione restante: i vaccini

Scartata la possibilità di trattare efficacemente il Covid coi farmaci tuttora esistenti, dunque, l’alternativa resta quella rappresentata dai vaccini.

Innanzitutto, Franzetti smentisce le voci su una produzione troppo precipitosa del vaccino contro il Covid: era da anni che i ricercatori lavoravano su un vaccino per la SARS, e quindi non restava loro che ri-settarlo sulla SARS-Cov-2.

Per quanto riguarda l’altro grande dubbio dei detrattori del vaccino, inerente all’esistenza di varianti del Covid che potrebbero vanificarne l’utilizzo, Franzetti spiega che le varianti sono delle mutazioni casuali del virus che si sviluppano durante la replicazione del virus stesso: più volte il virus si replica, dunque, più è alta la probabilità che a un certo punto, da qualche parte, salterà fuori una variante. Quello che bisogna fare per stroncare in partenza l’insorgere di varianti, di conseguenza, non è altro che impedire al virus di replicarsi; e come impedirglielo, se non vaccinandosi tutti quanti?

Covid e donazioni, donazioni e vaccino

Concluso l’intervento del dottor Franzetti, prende la parola il dottor Vincenzo Saturni, già presidente di AVIS Nazionale e di AVIS provinciale e comunale di Varese, nonché attuale dirigente medico presso il Servizio di Immunoematologia e trasfusione dell’Ospedale di Varese. Saturni riassume lo stato delle donazioni durante la pandemia e prende in considerazione le notizie sul plasma iperimmune.

Il dottor Saturni rassicura sulle preoccupazioni che il Covid possa incidere sull’idoneità di un buon donatore, dal momento che la trasmissione non avviene per mezzo del sangue. Invece, per quanto riguarda la possibilità di donare dopo aver fatto il vaccino, bisogna tener conto di una fase di latenza variabile dalle 48 ore alle 4 settimane; ma nel caso dei vaccini a mRNA si parla di massimo 7 giorni dalla scomparsa dei sintomi post-iniezione, un periodo di sospensione che per sicurezza si è deciso di prescrivere a tutti i vaccinati, a prescindere.

Plasma iperimmune: una via agibile?

Saturni parla infine del cosiddetto “plasma iperimmune”: con questa espressione si indica, in generale, il plasma di chi è provvisto di un alto numero di anticorpi contro un determinato antigene; può quindi trattarsi anche degli anticorpi contro il Covid-19 nel caso di una persona guarita dal virus. A partire dal plasma iperimmune sarà quindi possibile isolare tali anticorpi e sintetizzare farmaci specifici contro una certa malattia, infatti i farmaci plasmaderivati sono già in circolazione per quanto riguarda il trattamento di diverse patologie. Ma allora perché non farlo anche per il Covid-19?

L’idea è in effetti ragionevole, e la produzione di medicinali di questo tipo è tuttora in corso.

In loro attesa, tuttavia, l’alternativa resta quelle delle trasfusioni di plasma iperimmune ai positivi al Covid, e un simile modus operandi, oltre ad essere impensabile da ripetere per tutti quanti i malati, ha dimostrato di dare esiti di scarsa efficacia. Vale infatti lo stesso discorso fatto dal dottor Franzetti: è difficile identificare la fase della malattia in cui si trova il paziente, e l’impiego del plasma iperimmune nella seconda fase (quella in cui il virus è ormai scomparso) si traduce solo in uno spreco delle scorte di unità donate.

Se vorrete partecipare alla prossima conferenza divulgativa di AVIS Busto e Valle Olona e delle nostre sottosezioni, non mancate di seguirci su Instagram (@avisbusto) e su Facebook! Ci vediamo alla prossima iniziativa!

A cura di Enrico Forte

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