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Categoria: Avis News

Grazie Pietro.

Nel difficile momento della tua dipartita, riuscire a ricordare tutto l’impegno che hai dedicato all’Avis non è facile: hai dato tantissimo, e non solo nella nostra associazione. Infatti l’AVIS non è stata l’unico campo  di solidarietà sociale cui ti sei dedicato, spinto dalla generosità e dall’altruismo che hanno caratterizzato il tuo impegno di vita. Gli incarichi svolti nella tua lunga esperienza avisina sono stati tanti: potremmo provare ad elencarli, ma si rischierebbe di dimenticare molte cose.

Il periodo più intenso della tua attività di cui ancora abbiamo vivo il ricordo, nella nostra Avis di Busto Arsizio e Valle Olona, è stato quello degli anni della tua presidenza durante la quale, tra le tante cose, hai istituito la serata del donatore e, come tenevi tanto a sottolineare, anche della riconoscenza. Una volta all’anno, citando le tue parole, ti sentivi in dovere di ringraziare, con stima e riconoscenza, tutte le persone che si rendono artefici quotidianamente del dono del sangue.

Questo senso di gratitudine lo hai proclamato non solo riuscendo a coinvolgere i donatori, ma anche coloro che non sono parte dell’Avis, cioè la cittadinanza tutta compreso le Istituzioni locali, celebrando così come associazione ma anche pubblicamente il valore immenso della donazione.  

Dopo i due mandati della tua presidenza, poi hai proseguito ancora il tuo impegno in Consiglio Direttivo come “consigliere anziano”, anche se la voglia di portare avanti diverse iniziative ti ha accompagnato per molti anni ancora, per esempio con il tuo impegno nella propaganda nelle scuole e quindi tra i giovani.

In questo giorno invece tutta l’Avis di Busto Arsizio e Valle Olona con tutti suoi donatori ringrazia te, per il tuo impegno totale svolto con uno spirito a volte esuberante, con tutta la dedizione che ci hai regalato: anche tu fai parte di coloro che ci hanno insegnato a donare.

Grazie Pietro,

        con stima e tanta, tantissima riconoscenza.

 

Sonno e sogni: curiosità

Per molte persone dormire è uno dei momenti più piacevoli della giornata; si stima che questa attività occupa in media un terzo della nostra esistenza. Per il nostro organismo è più di un semplice ‘’ricaricare le batterie’’. Un sonno di qualità, infatti, ha un impatto sulla nostra salute psico-fisica ed è di fondamentale importanza per il ristoro ed il corretto funzionamento dell’organismo.

Affinché vengano apportati benefici alla nostra salute, devono essere soddisfatti due requisiti: assenza di interruzioni durante il sonno e dormire un numero di ore adeguato alle esigenze del nostro corpo. 

Il numero di ore di cui una persona ha bisogno è differente a seconda dell’età. Tuttavia, non esiste un numero minimo uguale per tutti, poiché molteplici fattori incidono sulla quantità. 

La National Sleep Foundation ha svolto uno studio sulle ore di sonno ideali e le propone suddivise per età, ad esempio i giovani adulti (18-25 anni) e adulti (25-64 anni) dovrebbero dormire dalle 7 alle 9 ore per notte e mai meno di 6 ore o più di 10. L’ipersonnia, ovvero dormire troppo abitualmente, è dannosa tanto quanto l’insonnia, in entrambi i casi è bene rivolgersi ad uno specialista. 

[Vi rimandiamo allo studio della National Sleep Foundation per indicazioni sulle altre fasce di età

https://www.sleepfoundation.org/how-sleep-works/how-much-sleep-do-we-really-need]

Il sonno si caratterizza per un’alternanza ciclica di 5 fasi, che si ripetono più volte nel corso della notte, e che  sono suddivise a loro volta in due macro-momenti: fase NRem (Non rapid eye movement) o sonno tranquillo e fase Rem (Rapid eye movement) o sonno attivo. 

La prima fase, la fase Non-Rem, occupa circa il 75% del sonno totale e si compone di 4 stadi dalla durata di un minimo di 5 minuti ad un massimo di 15 minuti. Nel passaggio da una fase all’altra il sonno diventa sempre più profondo.  

Lo stadio 1, definito ‘’addormentamento’’, è la fase in cui gradualmente l’organismo passa da uno stato di veglia al sonno. Si verificano l’abbassamento della temperatura corporea, il rilassamento parziale della muscolatura e il rallentamento del battito cardiaco. Lo stadio 2 definito ‘’sonno leggero’’ è la fase in cui l’organismo si prepara ad entrare nella fase di sonno vero e proprio. Lo stadio 3 riguarda appunto il ‘’sonno profondo’’, in cui vi è assenza di sogni. 

Infine, nello stadio 4, definito ‘’sonno profondo effettivo’’, l’organismo si rigenera e si ripristinano le riserve metaboliche. Così si conclude la fase Non-Rem. 

La fase Rem viene definita anche ‘’stadio del sonno paradosso’’, poiché l’attività cerebrale si risveglia e gli occhi cominciano a muoversi rapidamente, nonostante il sonno sia profondo. In questa fase si presentano i sogni (che sono dei fenomeni psichici) e si verifica un aumento graduale del flusso sanguigno, della respirazione e dell’attività cerebrale. 

Molto spesso si ha la sensazione di non aver sognato nulla durante la notte, eppure è quasi impossibile che durante un intero ciclo di sonno non si sogni, è molto più probabile che non lo si rammenti. La capacità di ricordare i sogni dipende da una serie di fattori, ad esempio sono rilevanti: la fase del sonno in cui ci si sveglia, se al momento del risveglio si è distratti o se si è in ritardo e l’intensità emotiva di ciò che si ha sognato.  

Durante il sonno è comune avvertire una sensazione di cadere, provocata dal cosiddetto ‘’spasmo ipnico’’, una risposta del sistema nervoso ad alcune anomalie tipiche del sonno, come la riduzione della frequenza del respiro. Queste anomalie vengono percepite dal nostro organismo come un ‘’allarme’’, che  ci induce a svegliarci. 

Lo spasmo ipnico, si caratterizza per una contrazione involontaria, rapida ed improvvisa di un muscolo o di un gruppo di muscoli, definita in termini scientifici come ‘’mioclono’’ o ‘’mioclonia’’. Uno scatto muscolare è fisiologico ed è tipico della fase iniziale del sonno, nella quale l’organismo si rilassa per favorire l’addormentamento. Diversi fattori possono favorire questo fenomeno, ad esempio ansia e stress che sovraccaricano il sistema nervoso, un abuso di caffeina, la privazione del sonno ed un esercizio fisico intenso prima di coricarsi. 

Durante il sonno, alcune persone sono più inclini a russare: questo dipende dalla forma e dalla dimensione dei muscoli e dei tessuti del collo.  

Il russamento è causato dal tintinnio e dalla vibrazione dei tessuti molli vicini alle vie aeree superiori. Non è considerato un problema di salute a meno che non vi siano segnali associati ad una Sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (OSAS), caratterizzata da un’interruzione nella respirazione, dovuta all’ostruzione totale o parziale delle vie aeree superiori. 

I fattori di rischio sono molteplici, ad esempio: obesità, fumo, assunzione di alcolici e di specifici farmaci. 

Un’ultima curiosità riguarda il sonno placebo, con cui si intende una sorta di inganno del cervello, che porta a credere di aver dormito bene. 

Si è arrivati a questa conclusione, grazie ad uno studio che ha confermato l’ipotesi secondo la quale gli stati cognitivi possono essere influenzati sia in senso positivo sia in negativo da un atteggiamento mentale. Ai partecipanti della ricerca sono stati riferiti dati inventati sulla qualità e durata della propria fase Rem. Si è poi osservato che coloro ai quali è stato detto che avevano dormito male, hanno avuto prestazioni peggiori. Questo è il meccanismo dell’ ‘’effetto placebo’’ del sonno, che si verifica anche in positivo. 

Un sonno di qualità è, quindi, essenziale per vivere al meglio la propria giornata. Se si sospetta di soffrire di qualche disturbo del sonno è bene rivolgersi, in tutti i casi, al proprio medico oppure ad uno specialista. 

 

 

Fonti: 

Humanitas.it 

‘’Sonno: struttura e funzioni’’ – Gruppo Multimedica

‘’Stages of sleep’’ – Sleep Foundation 

‘’Snoring and sleep’’ – Sleep Foundation

‘’Placebo sleep affects cognitive functioning’’ – C.Draganich and K. Erdal

Convegno di Borsano: “Covid19 – cos’è successo, la situazione attuale, il futuro che ci aspetta”

Venerdì 29 ottobre alle ore 20.45 presso la Sala Betania dell’Oratorio di Borsano si terrà una conferenza sul tema Covid19, per parlare di cosa è successo, della situazione attuale e del futuro che ci aspetta.

Alla conferenza parteciperanno il Primario di Malattie Infettive dell’Ospedale di Busto Arsizio, Dott. Fabio Franzetti e il Presidente di Avis Nazionale Dott. Vincenzo Saturni

L’incontro sarà moderato da Luigi Pinciroli, consigliere di Avis Busto Arsizio.

L’accesso è consentito solo ai possessori di Green Pass.

Scarica la locandina dell’evento

Ottobre: il mese per la prevenzione contro il tumore al seno

Ottobre. Le giornate diventano più corte e buie, le mattine (almeno in campagna) sono intrise di grigiore, gli alberi si tingono di giallo e arancione, eppure c’è un unico colore che dovremmo associare al mese attualmente in corso: Ottobre è rosa.

Il mese è infatti dedicato alla prevenzione del tumore al seno, che colpisce – si stima – almeno una donna su otto. Solo nel 2020 sono stati diagnosticati 55.000 casi di carcinoma mammario, rendendo il tumore al seno la neoplasia più diagnosticata tra le donne, pur considerando la riduzione degli screening durante la pandemia che ha impossibilitato diverse donne ad affrontare la malattia nella sua fase iniziale (fonte: Komen Italia).

La Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro come ogni anno ha dato il via alla campagna internazionale Nastro Rosa, per sensibilizzare sul tema e offrire alle donne l’occasione per sottoporsi gratuitamente a screening salvavita, oltre che per raccogliere i fondi necessari alla ricerca.

Essa risulta essere fondamentale se si considera che la sopravvivenza negli ultimi vent’anni è aumentata fino a raggiungere l’87% dei casi, ma vi sono ancora forme particolarmente aggressive che ancora richiedono una ricerca approfondita.

I tumori del seno si possono distinguere in almeno due tipi: le forme non invasive e quelle invasive. La caratteristica fondamentale delle forme non invasive è l’incapacità delle cellule tumorali di invadere i tessuti circostanti e di entrare nel circolo linfatico o sanguigno. Ciò significa che le forme non invasive hanno minime probabilità di dare metastasi.

Le forme invasive comprendono invece il carcinoma duttale, che rappresenta tra il 70 e l’80 per cento di tutte le forme di cancro del seno; e il carcinoma lobulare, che rappresenta il 10-15 per cento di tutti i cancri del seno e può colpire contemporaneamente ambedue i seni o comparire in più punti nello stesso seno. 

Si stima che adottare comportamenti e abitudini di vita salutari possa evitare la comparsa di un cancro su tre. Per raggiungere questo importante traguardo di prevenzione, i comportamenti da adottare sono molto semplici e riguardano in modo particolare l’alimentazione, l’esercizio fisico e l’evitare alcune abitudini come il fumo o il consumo eccessivo di alcol.

Non occorrono infatti grandi sforzi: basta fare attenzione a ciò che si mangia e cercare di non condurre una vita troppo sedentaria. 

Le donne dispongono di strumenti molto efficaci per la diagnosi precoce del tumore del seno, primo tra tutti la mammografia, affiancata da altri quali ecografia o risonanza magnetica. La prevenzione è fondamentale perché individuare un tumore ancora molto piccolo aumenta notevolmente la possibilità di curarlo in modo più efficace e definitivo, ma è importante scegliere lo strumento più adatto.

Tra i 20 e i 40 anni generalmente non sono previsti esami particolari. Solo in situazioni particolari, per esempio in caso di familiarità o di scoperta di noduli, è possibile approfondire l’analisi con un’ecografia o una biopsia del nodulo sospetto. Nelle donne ad alto rischio per un’importante storia familiare di carcinoma mammario o per la presenza di mutazione di BRCA1 e/o BRCA-2, sarebbe opportuno iniziare i controlli mammografici già a 25 anni o 10 anni prima dell’età di insorgenza del tumore nel familiare più giovane.

Tra i 40 e i 50 anni le donne con casi di tumore del seno in famiglia dovrebbero cominciare a sottoporsi a mammografia.

Tra i 50 e i 69 anni il rischio di sviluppare un tumore del seno è relativamente più alto e di conseguenza alle donne in questa fascia di età è raccomandato un controllo mammografico biennale.

L’autopalpazione è un esame che ogni donna può effettuare comodamente a casa propria e permette di cogliere precocemente cambiamenti nelle mammelle. L’esame si svolge in due fasi: l’osservazione consente di individuare cambiamenti nella forma del seno o del capezzolo, mentre la palpazione può far scoprire la presenza di piccoli noduli che prima non c’erano. Quando si parla di autopalpazione si pensa solo a un esame per la ricerca di noduli nella ghiandola mammaria, ma in realtà grazie a questo esame possono emergere altri segnali che devono spingere a consultare un medico, come retrazioni o cambiamenti della pelle, perdite di liquido dai capezzoli e cambiamenti di forma della mammella.

A partire dai 20 anni l’esame può essere effettuato una volta al mese tra il settimo e il quattordicesimo giorno del ciclo. Rispettare questi tempi è importante perché la struttura del seno si modifica in base ai cambiamenti ormonali mensili, e si potrebbero di conseguenza creare, in alcuni casi, confusioni o falsi allarmi.

È bene ricordare che, oltre agli ormoni, anche l’età, il peso corporeo, la familiarità e l’uso di contraccettivi orali influenzano la struttura del seno. A volte, specialmente nelle donne giovani, il seno è particolarmente denso e difficile da valutare correttamente con l’autoesame. Con il sopraggiungere della menopausa, l’esame può essere eseguito indifferentemente in qualunque periodo del mese e deve essere effettuato con regolarità anche e soprattutto dalle donne sopra i 60 anni poiché il picco di incidenza (numero di nuovi casi) del tumore del seno si colloca proprio tra i 65 e i 70 anni.

A cura di Alessia Castiglioni

Fonti: https://www.repubblica.it/moda-e-beauty/2021/10/09/news/ottobre_mese_prevenzione_tumore_seno_iniziative_beauty_estee_lauder_avon_erbolario-319946635/

https://nastrorosa.it/

ABCDE dei nei

Dalla A alle E, cinque lettere da tenere in mente per svolgere un autoesame della propria pelle e sapere come riconoscere e prevenire lo sviluppo di un melanoma.

Innanzitutto, cosa sono i nei? I nei sono delle lesioni pigmentate della pelle dovute all’accumulo di melanociti, le cellule responsabili della produzione di melanina. Tutti noi ne abbiamo, si stima che la maggior parte delle persone ne ha un numero compreso tra i 10 e 40 ed essi variano nel colore, nella forma, nella dimensione e nella consistenza.

Nonostante siano delle anomalie della pelle, sono del tutto fisiologici. Si distinguono però in due categorie: i nei benigni, i quali hanno una forma tondeggiante, con bordi definiti e in genere sono di piccola dimensione ed i nei atipici o displastici. Quest’ultimi possono degenerare più frequentemente e dare vita al melanoma, un grave tumore della pelle.

Adottando la ‘’regola ABCDE’’ si possono riconoscere i nei ‘’sospetti’’. ABCDE è un acronimo che identifica cinque aspetti che differenziano il melanoma da neo benigno.

A sta per ASIMMETRIA: il neo cresce in modo disomogeneo ed ha una forma irregolare. 

B significa BORDI IRREGOLARI e FRASTAGLIATI: i bordi sono poco definiti e frastagliati, detti anche a ‘’carta geografica’’

C come COLORE VARIABILE: il colore di un neo va dal rosa al marrone scuro. I nei benigni hanno una tonalità di marrone uniforme, al contrario i nei ‘’sospetti’’ possono comprendere sfumature diverse al loro interno oppure essere di un intenso colore nero.

D sta per DIMENSIONI: i nei variano sia in larghezza sia in spessore. I nei benigni sono generalmente di piccola dimensione. Ci si trova in una situazione di potenziale pericolo quando la macchia supera il mezzo centimetro e la superficie è irregolare. 

E sta per EVOLUZIONE PROGRESSIVA: i nei benigni hanno dimensione e forma stabili. Il melanoma, invece, si modifica e tende ad allargarsi rapidamente.

Altri campanelli di allarme da tenere in considerazione e per i quali occorre rivolgersi ad un medico sono un neo che sanguina, che è circondato da un nodulo o da un’area arrossata oppure se si ha prurito.

Solo una piccola parte dei nei può degenerare in melanoma, occorre però non abbassare mai la guardia e adottare comportamenti preventivi. Per ridurre il rischio è importante esporsi al sole con moderazione prendendo le dovute precauzioni fin dall’infanzia, sottoporsi a visite specialistiche periodiche unite alla mappatura dei nei (un esame indolore che permette di monitorare lo stato dei nei) e svolgere un’autoesplorazione seguendo la ‘’regola ABCDE’’.

 

 

Fonte: Fondazione Umberto Veronesi; AIRC

A cura di Marta Pieretti

Endometriosi e Vulvodinia, intervista alla Dott.ssa Maria Luisa Livello

Affrontiamo oggi il tema delle patologie dell’apparato genitale femminile, in particolare endometriosi e vulvodinia, con la dott.ssa Maria Luisa Livello, Medico Chirurgo specialista in Ostetricia e Ginecologia. 

 

Buongiorno dott.ssa Livello. Cominciamo con una domanda un po’ generale: quanto è importante, già per le giovani donne, essere seguite da uno specialista?

Il dolore in ambito ginecologico va sempre considerato con attenzione, non considerandolo naturale o inevitabile come il dolore mestruale o la dispareunia, cioè il dolore ai rapporti sessuali, poiché possono essere spia di situazioni patologiche sottostanti, e comunque possono sempre essere trattate per migliorare la qualità di vita.

 

Entriamo in uno dei due principali argomenti di oggi. Cos’è l’endometriosi? 

L’endometriosi è caratterizzata dalla presenza di endometrio al di fuori della cavità uterina. È una patologia tipica del periodo fertile della donna, causata dal sanguinamento ciclico del tessuto ectopico in concomitanza del flusso mestruale: questo determina una reazione infiammatoria locale nella sede dell’impianto endometriosico. Le sedi più frequentemente interessate sono il peritoneo pelvico con possibile formazione di aderenze, le ovaie con formazioni di cisti endometriosiche e, meno frequentemente, localizzazioni profonde come il setto fra retto e vagina, la vescica o l’intestino. Un’altra forma particolare è l’adenomiosi, con presenza di isole di endometrio nello spessore del miometrio, cioè della parete uterina. 

Si stima che possa interessare dal 6 al 10% delle donne. Le cause ipotizzate sono la cosiddetta mestruazione retrograda attraverso le tube, che può avvenire anche in epoca neonatale, o la trasformazione in senso endometriale di cellule peritoneali o residui embrionali, che alla pubertà vengono stimolati dagli ormoni (estrogeni e progesterone) e iniziano a crescere. Il sintomo più frequente è il dolore, che può essere inizialmente correlato alla mestruazione (dismenorrea), ma spesso evolve in dolore pelvico cronico, talvolta causato o accentuato dai rapporti sessuali (dispareunia), in particolare nelle forme profonde o con estese aderenze fra gli organi pelvici.

 

Quali sono i rischi per le donne che ne soffrono?

Una possibile conseguenza dell’endometriosi è l’infertilità, che può essere data dalle lesioni delle tube che vengono occluse, o a volte fissate da aderenze che ne alterano la mobilità con possibile sviluppo di gravidanze extrauterine. Talvolta anche le donne senza lesioni tubariche non riescono ad ottenere gravidanze, si suppone per alterazioni immunologiche legate alla patologia.

Nelle donne che arrivano alla visita, nella maggior parte dei casi per dolori mestruali o addominali, o perché non riescono a restare incinte, la visita ginecologica può, se non diagnosticare, porre il sospetto di endometriosi, che può essere confermato nella maggior parte dai casi da un’ecografia pelvica, possibilmente per via transvaginale.

In alcuni casi si può trovare un lieve aumento del CA 125, un marker del tumore ovarico. In alcuni casi però è necessario approfondire le indagini con la risonanza magnetica o la laparoscopia, che può individuare le lesioni peritoneali non individuabili con altri metodi.

 

Esiste una cura?

La terapia più semplice ed economica, in tutti i sensi, è l’assunzione di un contraccettivo ormonale estroprogestinico o solo progestinico in continuo, questo per impedire la mestruazione riducendo contemporaneamente la concentrazione di ormoni circolanti. Anche la gravidanza, nei casi in cui si vuole e si riesce ad ottenere, può migliorare la sintomatologia dolorosa e la progressione delle lesioni poiché non si ha il sanguinamento ciclico.

Si possono utilizzare altri farmaci ormonali che comunque bloccano l’attività ovarica e quindi la mestruazione, come gli agonisti e antagonisti del GnRH e altri preparati ormonali, a fronte peraltro di maggiori effetti collaterali e di un costo più elevato.

Nei casi di endometriosi più grave o di grosse cisti, o di dolore non trattabile con i farmaci, la terapia indicata è chirurgica, per rimuovere le cisti, le aderenze e i noduli.

 

Di recente si è cominciato a parlare di un’altra disfunzione dell’apparato genitale femminile: parliamo della vulvodinia. 

Anche il dolore vulvare è una causa frequente di consultazione ginecologica. Più frequentemente in età fertile è dato da infezioni vulvari o vulvovaginali che si risolvono facilmente con brevi terapie, mentre in postmenopausa il dolore è causato più spesso dall’atrofia vulvovaginale da carenza ormonale. In alcuni casi la situazione non è legata a cause evidenti, il dolore non si associa ad alcuna lesione visibile e si parla di vulvodinia.  È una patologia identificata come entità autonoma solo nelle ultime due-tre decadi, caratterizzata da ipersensibilità della vulva a stimoli normalmente non dolorosi, come il semplice sfioramento. Il dolore è presente di solito durante i rapporti sessuali, ma in alcuni casi si manifesta anche senza un apparente stimolo, diventa cronico e compromette oltre la vita di relazione anche le attività quotidiane e il benessere psicologico.

 

La vulvodinia non è riconosciuta tanto come una malattia quanto più come una “sensazione dolorosa cronica”. Cosa ne pensa? 

Non è chiaro quale sia la causa della vulvodinia;  l’ipotesi più considerata è che una lesione locale come un’infezione o, meglio, infezioni ricorrenti da Candida anche dopo la guarigione determinino una sensibilità aumentata dei recettori del dolore periferici o ci sia percezione alterata del sistema nervoso centrale; si ritiene comunque che la genesi della patologia sia multifattoriale, e che il fattore scatenante che può essere infettivo o irritativo determini dolore cronico in donne che hanno problemi sessuali o una storia di esperienze negative o abusi nell’infanzia o adolescenza. La vulvodinia è anche spesso associata ad altre sindromi dolorose croniche, come il colon irritabile, la fibromialgia e la sindrome da stanchezza cronica, ed è più frequente in donne che soffrono di ansia o depressione. Il trattamento quindi deve considerare le possibili cause anche remote di questa sensibilità dolorosa, quindi oltre alla terapia medica locale o generale per alleviare il sintomo va considerata anche la terapia comportamentale e un supporto psicologico.

Nei casi più resistenti si possono utilizzare anche terapie desensibilizzanti con infiltrazioni locali o neurostimolazione con varie tecniche, mentre la terapia chirurgica è limitata a casi particolari.

 

 

A cura di Francesca Genoni

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