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Categoria: Avis News

Scientificamente Avis: La malaria

La malaria è una patologia infettiva che interferisce con l’attività dei globuli rossi, compromettendo quindi tutto l’organismo.

È opinione diffusa che il parassita responsabile di questa malattia sia trasportato dalle zanzare. In realtà, è soltanto uno specifico tipo di zanzara a permettere la trasmissione della malaria: la zanzara Anopheles. Tutte le zanzare, quando succhiano il sangue da un individuo affetto da malaria, assimilano necessariamente anche il plasmodio (cioè il parassita); ma è solo nel caso dell’Anopheles che questo plasmodio riesce a incunearsi nelle ghiandole salivari dell’insetto.

Per capire la rilevanza di questo dato, bisogna avere presente che la saliva di una zanzara contiene delle sostanze anticoagulanti. Nell’intraprendere il suo “pasto di sangue”, infatti, l’insetto prima incide la pelle della preda, poi ci sputa sopra per rallentare l’azione delle piastrine e potersi così nutrire indisturbato. L’Anopheles non si comporta diversamente. È per questo che, dopo aver punto un soggetto malarico, la zanzara Anopheles diventa una minaccia: quando pungerà la vittima seguente, la saliva infetta si insinuerà attraverso la puntura e darà inizio alla malattia.

Il suo sviluppo all’interno dell’organismo ha inizio nel fegato, dove le cellule parassite, ancora immature, si stabiliscono e si riproducono per mitosi. Solo una volta giunte a maturazione si immettono nel circolo sanguigno, più precisamente nei globuli rossi: è al loro interno che si sviluppano e riproducono ulteriormente.

Il pericolo per l’organismo “ospite” è legato al fatto che, dopo aver invaso e sfruttato un globulo rosso, i plasmodi ne fuoriescono in massa, distruggendolo. Questa dinamica, ripetuta di globulo in globulo, va a determinare una situazione di anemia: il numero dei globuli rossi non è più sufficiente a sopperire alle esigenze di tutti i tessuti, che si ritrovano a patire scarsità di ossigeno e nutrimento.

Tale condizione si manifesta con febbre, emicrania, vomito, diarrea, sudorazione e brividi, in genere a partire da 7 o 15 giorni dopo la puntura della zanzara. A seconda della specie di plasmodio, però, i sintomi possono riguardare anche complicazioni più o meno gravi a organi vitali, soprattutto reni, milza, fegato e cervello. Alcuni plasmodi della malaria, inoltre, possono rimanere latenti all’interno del fegato per mesi o anni, per poi attivarsi in un momento di debolezza immunitaria dell’ospite. 

La malaria è diffusa laddove proliferano le zanzare Anopheles: territori tropicali e subtropicali, ma in particolar modo zone paludose. Il termine “mal-aria”, infatti, deriva dalla credenza che a provocarla fossero le esalazioni degli acquitrini; altra denominazione comune della malattia è “paludismo”.

È curioso considerare come lo sviluppo della malaria possa essere intralciato da un’altra malattia del sangue: la talassemia, un difetto ereditario nella produzione di emoglobina. I globuli rossi talassemici presentano una struttura anormale, oltre a una precoce caducità: sono probabilmente questi fattori a ostacolare la riproduzione dei plasmodi, rallentando e talvolta arrestando l’avanzare della malaria. Proprio per questo motivo la talassemia ha trovato cospicua diffusione in zone che una volta erano vessate dalla malaria, dove essere talassemici poteva paradossalmente rappresentare un certo vantaggio. Un esempio vicino sono le aree italiane bonificate tra la seconda metà dell’Ottocento e gli anni ’30 del Novecento: un tempo il loro carattere palustre le rendeva habitat ideali per le Anopheles e per la malaria, di conseguenza tra i residenti sopravviveva più facilmente chi era affetto da talassemia (posto che non si trattasse di forme troppo gravi); essendo la talassemia ereditaria, i loro discendenti oggi popolano quelle zone in una percentuale rilevante. 

Comunque, il contagio può avvenire anche a prescindere dall’azione della zanzara: una trasfusione di sangue da un soggetto malarico a uno sano determinerà l’infezione diretta di quest’ultimo. È anche per questo che ogni Centro Trasfusionale è così scrupoloso nelle analisi del sangue dei donatori.

Un vaccino contro la malaria è stato solo recentemente messo a punto, ma la sua azione non risulta essere totale. Le strategie di prevenzione più affidabili rimangono le protezioni contro le Anopheles: zanzariere e spray repellenti.

La diagnosi tempestiva tramite esami del sangue è il modo più efficace per stroncare sul nascere questo morbo, che verrà trattato grazie ad appositi farmaci.

A cura di Enrico Forte

I volontari ripuliscono la Valle Olona

Il Gruppo Alpini, con i volontari di Avis Busto Arsizio e Valle Olona e Pro Loco, si sono occupati della pulizia e della manutenzione della zona della grotta a Solbiate Olona, vicino alla scala che porta in Valle.
«Per prima cosa ci siamo occupati della pulizia – sottolinea Angelo Olgiati – lo spazio era pieno soprattutto di vetri rotti, che, oltre che inquinare, possono essere anche pericolosi sia per le persone che per gli animali.
Si può dire che abbiamo deciso di adottare questo pezzo di territorio – dichiara Olgiati – e l’intenzione è quella di occuparci della sua pulizia e della sua manutenzione anche in futuro. Appena ci daranno il via libera abbiamo intenzione di piantare qualche fiore e qualche cespuglio, che contribuiranno ad esaltare la bellezza di questo luogo».
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Scientificamente Avis: “Anticorpi monoclonali: cosa sono e come funzionano”

Il mondo scientifico schierato nella battaglia contro il Coronavirus rilancia ormai da qualche mese la proposta degli anticorpi monoclonali. Si tratta di una soluzione già messa in atto nella trattazione terapeutica di alcune malattie autoimmuni, come le artriti, e tumori, come quello della mammella. Non solo: coniugati con composti radioattivi, vengono usati per localizzare alcuni tipi di metastasi, differenziare sottotipi e stadi di progressione delle neoplasie, diagnosticare malattie infettive e identificare i microrganismi o parassiti nel sangue nei fluidi corporei. Trovano inoltre largo impiego nelle tecniche di immunoistochimica.

Gli anticorpi monoclonali vengono prodotti in laboratorio mediante l’utilizzo di cavie animali, di solito topi, ratti e conigli. 

Se si vuole sviluppare un anticorpo contro una certa proteina, ad esempio l’actina di ratto, si purifica la proteina dai tessuti e dalle cellule del ratto per poi iniettarla, ad esempio, nel coniglio. Nell’animale ricevente l’actina di ratto viene riconosciuta dal sistema immunitario come una proteina esogena, quindi come un antigene (sostanza estranea all’organismo), scatenando una reazione immunitaria. Durante la reazione immunitaria si attiva una cascata di interazioni cellulari che porta all’attivazione di cellule del sistema immune, le plasmacellule (Linfociti B attivati, per questo anche dette Linfociti B effettori), che iniziano a produrre anticorpi contro l’actina di ratto. 

Plasmacellule diverse sono dette cloni: ciascun clone produce anticorpi con caratteristiche diverse, dal momento che questi riconoscono solo una parte (epitopo) dell’agente infettivo. Anticorpi prodotti dalla plasmacellula A sono diversi da quelli prodotti dalla plasmacellula B. Tutti gli anticorpi reagiscono quindi con diversi antigeni infettivi: la risposta è detta perciò policlonale, perché proveniente da tipi diversi di cloni cellulari. L’interesse, tuttavia, sta negli anticorpi più efficienti e quindi nelle plasmacellule in grado di produrli. 

Dopo aver immunizzato l’animale, si estraggono dal tessuto linfatico (milza o linfonodi) le plasmacellule attivate che in vitro vengono “immortalizzate” tramite fusione con cellule tumorali del sangue (cellule di mieloma) che hanno la caratteristica, appunto, di essere immortali. Si ottengono così degli ibridomi, linee cellulari immortali ognuna delle quali produce anticorpi di un’unica specificità, secreti nel mezzo di coltura.

Gli ibridomi vengono quindi selezionati per le attività degli anticorpi da essi prodotti contro l’antigene di interesse e clonati. Ogni clone produce grandi quantità di anticorpi identici di cui rappresenta una riserva praticamente illimitata. Essendo quindi anticorpi prodotti da un unico clone si parla di anticorpi monoclonali.

Gli anticorpi monoclonali, come già accennato, trovano largo impiego nella pratica clinica. Nel caso di malattie causate da agenti infettivi, le strategie terapeutiche normalmente messe in atto consistono nell’assunzione di farmaci antibiotici o antivirali e nella vaccinazione con conseguente induzione del sistema immunitario alla produzione di anticorpi. Gli anticorpi monoclonali rappresentano un’altra possibilità: non un’alternativa al vaccino ma piuttosto un’arma complementare, dal momento che vengono inoculati direttamente gli anticorpi che bloccano l’agente infettivo, anticipando quelli che l’organismo produrrà ma con minore efficienza. 

La produzione in larga scala di anticorpi da cloni di cellule in vitro e la successiva inoculazione di queste miscele si è rivelata in grado di bloccare l’infezione soprattutto nella fase iniziale della malattia. Non solo, dunque, questa terapia ha consentito di ridurre il numero di pazienti soggetti a danni polmonari gravi, ma ne è stato proposto un uso preventivo, al fine di proteggere i soggetti in pericolo di contagio ancora in attesa della somministrazione del vaccino e dell’inizio della sua effettiva protezione contro il Coronavirus. 

Recenti dichiarazioni del sottosegretario alla Salute Andrea Costa, paventano “la possibilità di avviare i pazienti affetti da Covid-19 di recente insorgenza e con sintomi lievi-moderati, alla terapia con anticorpi monoclonali”.


A cura di Francesca Genoni

La consegna delle uova di Pasqua

Negli scorsi giorni, proprio prima della domenica di Pasqua, i volontari della Sottosezione Avis di Solbiate Olona hanno coinvolto i bambini della scuola materna A. Ponti portando loro in dono delle coloratissime uova di Pasqua firmate Avis.

I bambini, che tradizionalmente vengono coinvolti per la calza della Befana a gennaio, quest’anno hanno dovuto posticipare il momento di incontro e gioia con Avis a causa del periodo forzato di didattica a distanza.

Anche prima di Pasqua i bambini si sono trovati costretti a seguire le lezioni da casa ma, complice l’organizzazione con i genitori, Avis è comunque riuscita a portar loro questo speciale dono.

I bambini infatti si sono recati a scuola, mano nella mano con i genitori, a ritirare il proprio speciale uovo.

Grazie alla Sottosezione di Solbiate Olona e al nuovo Presidente di Avis Busto Arsizio e Valle Olona, Giuseppe Bianchi, per la presenza nel corso della giornata di consegna.

Scientificamente Avis: Sangue al cervello, il metabolismo del sistema nervoso

Il sistema nervoso capta e decodifica gli stimoli esterni, quindi elabora risposte. Questi scambi tra periferie corporee e cervello avvengono sotto forma di segnali elettrici: scopo di un neurone (ossia una cellula nervosa) è proprio tradurre e trasmettere un’informazione tramite un impulso elettrico. Per svolgere questo compito, come tutte le altre cellule, i neuroni richiedono energia; e per ottenere energia è anzitutto imperativo che il sangue faccia il proprio dovere.

Si chiama metabolismo energetico, la successione di milioni di reazioni chimiche con cui una cellula ricava e accumula energia. La “materia grezza” di partenza è rappresentata dalle sostanze derivate dalla digestione e da quelle introdotte con la respirazione, che il sangue provvede a trasportare a tutte le cellule dell’organismo. Tra queste materie prime, in particolare, svolgono un ruolo insostituibile il glucosio e l’ossigeno: la loro reazione (cioè l’ossidazione del glucosio) produce un’abbondante quantità di energia, che viene per così dire “immagazzinata” in particolari molecole denominate ATP (adenosina trifosfato). Al momento opportuno, poi, questa energia verrà liberata e impiegata dalla cellula per espletare le proprie mansioni.

Nel corso del metabolismo di un neurone non accade niente di troppo diverso, senonché questo tipo di cellula risente di alcune importanti limitazioni. In primo luogo, i neuroni non sono in grado di “fare scorta” né di ossigeno né di glucosio. La maggior parte delle cellule del nostro organismo può sempre contare su riserve del genere: il glucosio viene stoccato sotto forma di una struttura più complessa, il glicogeno; l’ossigeno viene conservato grazie ad una apposita proteina, la mioglobina (da non confondersi con l’emoglobina, presente nei globuli rossi, che serve invece al trasporto di ossigeno). In questo modo, in condizioni sanguigne di carenza di glucosio (ipoglicemia) o di carenza di ossigeno (ipossia), i tessuti possono fare affidamento su queste scorte per ricavare l’energia di cui necessitano per tirare avanti. L’incapacità dei neuroni su questo fronte, invece, fa sì che il sistema nervoso dipenda nel modo più assoluto dal costante rifornimento da parte del sangue. Così il cervello si ritrova ad essere estremamente vulnerabile a ipoglicemia e ipossia, fenomeni ai quali reagisce in genere con una sincope (cioè una transitoria perdita di coscienza). Per di più, la posta in gioco è decisamente più alta rispetto agli altri apparati: le cellule nervose non sono in grado di riprodursi e ciascuna è quindi insostituibile; è sufficiente la morte di un neurone perché tutti i collegamenti (in media tra 500 e 1000) di cui esso era crocevia vadano vanificati per sempre. 

Il cervello, che di tutta la massa corporea costituisce solo il 2%, riceve circa 800 mL di sangue ogni minuto. Se si pensa che il cuore pompa 5,25 L/min (quindi 5250 mL/min), ci si rende conto che più di un settimo di tutto questo sangue è dedicato al solo encefalo.

A rendere possibile questa ingente perfusione sanguigna dentro al cranio è una fittissima rete di capillari. Ognuno di essi contiene delle speciali strutture proteiche che funzionano da “dogane” per il sangue in arrivo; vengono designate nel loro insieme col nome di “barriera emato-encefalica”, e impediscono l’intrusione nel cervello della maggior parte dei virus e dei batteri. Le sostanze benefiche invece attraversano la barriera e si distribuiscono verso tutti i neuroni: la nostra materia grigia consuma circa il 60% del glucosio e il 20% dell’ossigeno di tutto il circolo sanguigno.

Le proporzioni di questo incessante “abbeveraggio” energetico sono da attribuirsi alla incalcolabile mole di responsabilità che grava sulle spalle del sistema nervoso: dal riflesso di ritrarre il dito da una fiamma alla stessa contrazione dei muscoli cardiaci, tutto quello che avviene nel nostro organismo, in ogni singolo istante della nostra vita, è coordinato dagli impulsi elettrici dei neuroni. Un essere umano conta all’incirca 100 miliardi di cellule nervose; il numero di connessioni che si instaurano tra di esse è da vertigini. L’energia necessaria per alimentare tutto non può che essere immensa.

La spesa metabolica del cervello (che in totale riguarda il 20% delle chilocalorie assunte durante la giornata) si mantiene costante in tutte le condizioni fisiologiche, dal sonno profondo all’intenso sforzo mentale. Questo significa che anche il flusso sanguigno diretto al cervello non è soggetto a variazioni; tuttavia, se non varia il totale, varia invece l’afflusso ematico regionale. A seconda di quali regioni cerebrali sono più attive in un certo momento, infatti, i neuroni di queste zone mettono in atto alcuni meccanismi regolativi: liberano particolari sostanze chimiche verso i capillari, favorendo la loro dilatazione e richiamando quindi una maggiore quantità di sangue.

Se la perfusione ematica scende eccessivamente al di sotto della soglia di 800 mL/min, il cervello riceve troppo poco glucosio e troppo poco ossigeno. In queste condizioni, l’autonomia dell’organo è garantita solo per pochi minuti. Dopodiché, inariditi dall’assenza di nutrimento, i neuroni vanno uno dopo l’altro incontro a necrosi (cioè muoiono). Se la necrosi arriva a coinvolgere una certa porzione dell’encefalo, il soggetto risentirà per tutta la vita di danni cerebrali permanenti. Se la necrosi si estende su tutte le cellule dell’encefalo, il soggetto è cerebralmente morto, e ciò che rimane di lui può tutt’al più venire sostenuto da macchinari che ne mantengano attive le funzioni primarie (battito, respirazione, ecc.). Ma si tratta ormai di uno stato “vegetativo”, in cui la coscienza della persona è svanita insieme ai neuroni che la determinavano.

Un calo della perfusione di sangue al cervello può avere molte cause scatenanti, da un’ostruzione arteriosa a una disfunzione cardiaca. Il caso più pericoloso, comunque, è senza dubbio l’arresto cardiaco, che ovviamente comporta l’annullamento del flusso sanguigno encefalico. Per sventare l’imminente morte cerebrale del soggetto, è indispensabile che chi è presente durante l’arresto conosca la manovra del massaggio cardiaco e la metta tempestivamente in pratica. Scopo di questo primo soccorso è sostituire manualmente il cuore inerte nel pompaggio del sangue, cosicché l’encefalo rimanga in vita fino all’arrivo del pronto soccorso. Se hai bisogno di un ripasso sulla procedura di BLS (Basic Life Support), ecco un video della Croce Rossa Italiana:

Video tutorial BLS (Basic Life Support)

 

A cura di Enrico Forte

Allergie e donazioni: come comportarsi?

Ah, primavera! Si destano i merli, i peschi fioriscono… volano gli starnuti. 

Sono belle considerevoli, in questo periodo, le grane di chi ogni singolo anno si ritrova vessato dall’allergia. Effettivamente, più perseguitato di un allergico c’è solo un altro soggetto: il donatore allergico. L’insorgere dell’allergia, infatti, può interferire con le buone intenzioni di chi vuole donare il sangue: molte donazioni vengono rinviate, talvolta addirittura sospese.

Di primo acchito parrebbe soltanto un eccesso di zelo, una precauzione tutto sommato superflua da parte del centro trasfusionale. Perché farsi tutti questi problemi per una condizione innocua e comune come l’allergia? Perché precludere a tanti avisini la possibilità di mettersi in gioco?

La reazione allergica è una risposta sproporzionata del sistema immunitario, con cui esso si oppone ad una o più sostanze (i pollini, in questo caso) erroneamente ritenute pericolose per l’organismo. Un vero e proprio “falso allarme”, come quando uno fa per aprire la portiera dell’auto e quella prorompe inspiegabilmente negli strilli dell’antifurto. Già, erroneo, inspiegabile… Fatto sta che l’antifurto scatta: per quanto “falso”, l’allarme c’è e si fa sentire. Quella allergica sarà anche una reazione fallace, ma ciò non toglie che è concreta, ciò non toglie che avviene, e questo non può essere trascurato ai fini di una donazione sanguigna. Le difese immunitarie si mobilitano contro l’allergene (la sostanza percepita come “minaccia”), ed è appena il caso di precisare che il sangue si trova in prima linea in questo dispiegamento di forze: irritazioni, eritemi e rossori cutanei, manifestazioni tanto consuete di molte reazioni allergiche, sono determinate proprio dall’affluenza di sangue verso la zona “in pericolo”; i capillari lì localizzati si dilatano e si riempiono di globuli bianchi e di globuli rossi carichi di ossigeno, così da far fronte alla apparente “insidia”. Insomma, lo stato del sangue finisce per risultare alterato rispetto alla norma; va da sé che avrebbe ben poco senso donare in una circostanza del genere.

Il criterio seguito dal centro trasfusionale è allora il seguente: per poter effettuare una donazione di sangue, devono essere trascorsi almeno 3 giorni dalla cessazione di tutti i sintomi allergici. Ora, aggirare questa complicazione non sembrerebbe così impossibile, dal momento che antistaminici e farmaci cortisonici, in genere, consentono di raggiungere condizioni stabili alla maggior parte dei soggetti allergici. Il problema è che i principi attivi dei medicinali circolano nel sangue, ovviamente, andando ancora una volta a comprometterne e sbilanciarne la composizione; è per questo che la loro assunzione deve essere interrotta 15 giorni prima di andare a donare. Quindi, ricapitolando: l’aspirante donatore smette di assumere i farmaci 15 giorni prima dell’eventuale donazione; dopodiché, solo se almeno 3 giorni prima di quella data i sintomi cessano, e solo se non si presentano nemmeno il giorno stesso della donazione, allora la seduta può tenersi, altrimenti no.

Diverso è il caso di persone che nella loro vita hanno sperimentato anafilassi (shock anafilattico), cioè quel tipo di reazione allergica improvvisa e violenta che comporta un crollo della pressione sanguigna e impedimenti respiratori: coloro che hanno una storia documentata di anafilassi sono esclusi definitivamente dalla donazione. 

Ad ogni modo, è bene precisare che l’essere soggetti solitamente allergici non rappresenta di per sé un fattore pregiudicante per la donazione: il problema sorge solamente laddove ci sono i sintomi, e non è detto che questi si palesino per forza tutti gli anni. Già nel 2020 molti di noi hanno constatato che, tra gli effetti collaterali della quarantena, ce ne sono anche di positivi. In particolare, tanto le pareti domestiche quanto la mascherina si sono rivelate barriere efficaci contro le grinfie dei pollini, aiutandoci a tenere a distanza anche l’allergia.

Chissà, magari quest’anno dovrai ringraziare la pandemia se riuscirai a provare l’ebbrezza della donazione primaverile. Ma anche se così non fosse, beh… inutile ricordare che il valore del dono è lo stesso in qualsiasi stagione.

A cura di Enrico Forte

Donatori e vaccino, le dichiarazioni di Avis Nazionale

In questi giorni si sta parlando molto dell’accordo raggiunto per vaccinare anche i donatori contro il Covid.
Di seguito riportiamo le dichiarazioni di AVIS Nazionale inerenti alla campagna vaccinale che inizierà, per i donatori, solo dopo le categorie più a rischio già individuate dal piano vaccinale attuale.

Al momento perciò non è ancora stata indicata una data di inizio di somministrazione del vaccino per i donatori.

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