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Categoria: Avis News

Scientificamente Avis: I vasi sanguigni

I vasi sanguigni fanno parte del sistema circolatorio cardiovascolare, ovvero quell’insieme di organi che garantiscono la distribuzione di ossigeno e sostanze nutritive a tutte le cellule dell’organismo, l’allontanamento delle sostanze di rifiuto (ad esempio l’anidride carbonica) e il trasporto di messaggeri chimici (ad esempio gli ormoni) agli organi bersaglio. Si distinguono in vene, arterie e capillari, all’interno dei quali circola il sangue grazie all’azione di pompa esercitata dal cuore, che costituisce l’elemento centrale del sistema.

Le arterie sono vasi che, di base, portano il sangue dal cuore alla periferia del corpo. Hanno pareti spesse ed elastiche formate da tre strati: uno più interno, la tonaca intima; uno intermedio, la tonaca media, formato da un tessuto muscolare liscio; infine uno più esterno, detto tonaca avventizia, formato da un tessuto connettivo molto ricco di fibre elastiche. Proprio grazie a questa struttura, le arterie sono in grado di contrarsi per aiutare l’avanzamento del sangue verso i tessuti. 

Il sistema arterioso del corpo umano si può suddividere in arterie sistemiche, che portano il sangue dal cuore a tutti i tessuti del corpo, e arterie polmonari, che invece portano il sangue deossigenato dal cuore ai polmoni. L’Aorta, che origina dal ventricolo sinistro del cuore, è l’arteria principale del sistema arterioso.

Le vene sono i vasi che contengono la maggior parte del volume sanguigno, circa il 60%: esse raccolgono il sangue dalla periferia del corpo e lo riportano al cuore, ad eccezione delle vene polmonari che trasportano sangue arterioso (ricco di ossigeno e povero di anidride carbonica), e delle vene ombelicali. Possono essere classificate in diversi modi: superficiali o profonde, polmonari o sistemiche e grandi o piccole. 

Come le arterie sono formate da tre strati, ma diversamente da esse hanno pareti relativamente sottili ed estensibili, con poco tessuto muscolare e poche fibre elastiche, che permettono per questo il transito di grandi quantità di sangue opponendo una modesta resistenza. Il flusso sanguigno venoso è promosso dalla contrazione dei muscoli scheletrici adiacenti alle vene, piuttosto che dal battito cardiaco. 

Lungo le vene maggiori sono dislocate valvole a nido di rondine, che impediscono il riflusso del sangue nella direzione sbagliata. 

La differenza tra vene e arterie è quindi la direzione di flusso (fuori dal cuore per le arterie, verso il cuore per le vene), non il contenuto di ossigeno del sangue trasportato.

I capillari sono vasi dalle pareti sottilissime e fanno parte del sistema della microcircolazione sanguigna. Sono costituite da un unico strato di cellule, l’endotelio, attraverso il quale i gas respiratori, le sostanze nutritive, gli enzimi, gli ormoni e le sostanze di rifiuto possono passare facilmente per diffusione o tramite altri meccanismi di trasporto. Il flusso sanguigno nei capillari è molto lento: in questo sono facilitati gli scambi tra il sangue e i tessuti circostanti. 

È possibile classificare i capillari a seconda della loro struttura: continui, cioè formati da cellule endoteliali connesse l’una all’altra e una lamina basale continua, o fenestrati, quando l’endotelio presenta dei pori che permettono scambi rapidi tra i capillari e i tessuti circostanti.

A cura di Francesca Genoni

Il comunicato di Avis Nazionale sul discorso del plasma iperimmune

Riportiamo e condividiamo il Comunicato ufficiale di Avis Nazionale, tramite le parole del Presidente Gianpietro Briola, sul discorso del plasma iperimmune, importantissimo in questi giorni di lotta al Covid-19. (Data: 12 maggio 2020)

«Da sempre AVIS è al fianco della ricerca scientifica e ora più che mai intende farlo per il bene di tutti». Con queste parole il Presidente di AVIS Nazionale, Gianpietro Briola, ribadisce la posizione dell’Associazione Volontari Italiani del Sangue nei confronti dell’approccio terapeutico che prevede la somministrazione di plasma iperimmune ai pazienti gravi affetti da Covid-19.

«AVIS non ha mai messo in discussione la validità di questa sperimentazione e, insieme al mondo scientifico e al Centro Nazionale Sangue, sta seguendo con molta attenzione l’evoluzione e si sta adoperando per studiare queste opportunità.

Quella in corso è una terapia emergenziale già nota per altre malattie. Si tratta di una sperimentazione che sta dando risultati confortanti e che, speriamo, potrà aiutarci ad avviare la produzione su larga scala di immunoglobuline per la cura del Coronavirus.

Occorre tempo e soprattutto occorre incrementare il numero di pazienti su cui si sta testando il plasma iperimmune.

L’evoluzione delle conoscenze – prosegue Briola anche in risposta alle dichiarazioni del dott. Giuseppe De Donno, pneumologo dell’ospedale Carlo Poma di Mantova, apparse sulla stampa negli ultimi giorni – ci ha spesso indotto a modificare i nostri paradigmi ed è fondamentale ricordare che scienza e ricerca richiedono impegno, lavoro, cautela, modelli e la possibilità di processi riproducibili per divenire gold standard e riconosciute indicazioni terapeutiche, sempre e comunque possibili di revisione.

Nello specifico, la terapia con plasma iperimmune è una pratica nota da oltre cent’anni usata recentemente anche per altre infezioni emergenti. Ha un suo valore nelle situazioni di emergenza come quella attuale, in mancanza di altre strategie o in attesa di studi ed evoluzioni della ricerca. Pertanto, non ci siamo mai opposti, né abbiamo avanzato critiche all’utilizzo di tale metodica “sperimentale” per il trattamento di pazienti con gravi sintomi provocati dal Coronavirus, ma si tratta di una soluzione temporanea e non definitiva.

La sfida – ribadisce Briola – sarà quella di individuare una terapia fruibile da tutti, su larga scala, anche da quei pazienti trapiantati o affetti da immunodeficienze primitive o acquisite. Ecco perché l’obiettivo finale di questa fase sarà l’individuazione, nel plasma dei soggetti convalescenti, delle immunoglobuline o delle proteine infiammatorie in grado di aggredire e sconfiggere il virus. Tali immunoglobuline dovranno poi essere somministrabili, in forma farmaceutica e standardizzabile, così come già avviene per esempio per la cura del tetano.

La generosità e disponibilità dei nostri associati è massima e il tema della donazione di plasma e la produzione di plasmaderivati continua a rimanere strategico per il Sistema Sanitario e il Sistema Italia verso quella che da tanto tempo auspichiamo e riteniamo raggiungibile: l’autosufficienza. Con una produzione etica, in conto lavorazione a proprietà pubblica che possa estrarre dal plasma dei donatori tutte le proteine e le sostanze farmacologicamente utili ai pazienti. In questa fase, dove ci è stato richiesto abbiamo messo a disposizione le nostre strutture per la raccolta del plasma dai pazienti convalescenti e dai donatori e, dove possibile, abbiamo sollecitato i donatori guariti a proporsi».

12 maggio, Giornata Mondiale dell’Infermiere

Vi abbiamo visti ogni giorno in TV in questi 3 mesi. Con lo sguardo disperato, la faccia distrutta dalle mascherine, il tremore delle mani per l’immensa stanchezza. Ci hanno raccontato delle rinunce che avete dovuto fare, della vostra dedizione, della vostra morte.
Voi, gli infermieri e le infermiere che ogni giorno accudite i malati di Covid-19.
Ci sono anche i vostri colleghi delle RSA, delle case di cura, di tutti i luoghi dove si curano persone che soffrono. Compresi i nostri, di infermieri. Quelli che ogni giorno sono con noi donatori, in tutte le sedi Avis d’Italia. A tutti voi, cari amici, va il nostro amore in questo momento difficile, va il nostro grazie, vanno le mani tese quasi a toccarvi per dirvi che siete stati, che siete e sarete meravigliosi.
Giornata Mondiale dell’Infermiere.

Scientificamente Avis: La talassemia

L’8 maggio abbiamo ricordato la Giornata Mondiale della Talassemia, una grave malattia genetica che colpisce i globuli rossi. 

Si tratta di una insufficienza anche importante nella sintesi di una delle due proteine (alfa o beta) costituenti l’emoglobina, ossia il mezzo di trasporto dell’ossigeno attraverso tutto l’organismo. Esistono diverse forme di talassemia, distinte in alfa o beta a seconda del polipeptide coinvolto, ma le più diffuse nell’area del Mediterraneo sono quelle di tipo beta: in Italia si contano circa 7000 pazienti. 

La beta-talassemia è conosciuta anche come “anemia mediterranea”, in quanto si configura proprio come una anemia cronica: a causa dell’inefficienza dell’emoglobina, i globuli rossi esauriscono la loro funzione prima del normale e vengono demoliti precocemente. Lo scarso numero di eritrociti non può trasportare abbastanza ossigeno da soddisfare le esigenze di tutti i tessuti corporei, il che si manifesta in sintomi come spossatezza e rallentamento della crescita.

Le condizioni di vita di chi è afflitto da talassemia possono essere tanto tollerabili quanto proibitive a seconda della forma in cui si presenta, ma in linea generale la terapia richiede ripetute trasfusioni di sangue (almeno ogni 15-20 giorni) per sopperire alla carenza di globuli rossi. 

È proprio per tale ragione che, anche in questi tempi di emergenza Coronavirus, è imperativo che i volontari di tutta Italia non sospendano le donazioni del sangue: il trattamento trasfusionale periodico è vitale per la maggior parte dei pazienti talassemici, e ognuno di noi può dare il suo contributo per garantirne la consueta funzionalità. 

Nonostante la paura e la confusione del momento, ti chiediamo di compiere un atto di fiducia e responsabilità: dona anche tu.

 

A cura di Enrico Forte

8 maggio, Giornata Mondiale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa

L’8 maggio, in tutto il mondo, si festeggia il lavoro di soccorso che svolgono quotidianamente milioni di volontari della Croce Rossa.

La festività cade il giorno della nascita di Henry Dunant, considerato il fondatore dell’Associazione, che nel 1859, assistendo alla sanguinosa Battaglia di Solferino, uno degli episodi più tragici della storia d’Indipendenza d’Italia, rimane colpito dalle circa 40.000 persone che giacciono sul campo di battaglia, senza nessuno che corra a soccorrerle.

Dunant, in quell’occasione, chiede aiuto agli abitanti del paese, radunando donne e uomini, si procura tutto il necessario per tornare sul campo a raccogliere il maggior numero di feriti.

Lo stesso anno scrive “Un souvenir da Solferino”, libro che avrà una vasta risonanza in tutta Europa e creerà immediatamente un clima favorevole alla realizzazione concreta degli ideali in esso contenuti, tra cui quello che vengano ritenuti neutrali, dalle Parti belligeranti, i feriti e il personale sanitario, riconoscibile da un distintivo comune.

Qui, si pongono le basi per quella che sarà la Croce Rossa e Mezzaluna Rossa Internazionale, riconosciuta ufficialmente nel 1863 a Ginevra con una Conferenza Internazionale a cui partecipano inizialmente 14 Paesi.

Il Movimento opera oggi sulla base di sette principi fondamentali: umanità, imparzialità, neutralità, indipendenza, volontarietà, unità e universalità.
Originariamente inoltre, l’unico simbolo riconosciuto era quello della Croce Rossa (una versione a colori invertiti della bandiera svizzera, un tentativo di richiamare la neutralità della nazione). Nel 1876 però, l’Impero Ottomano sollevò delle obiezioni in merito e comunicò al governo svizzero (depositario della convenzione di Ginevra) l’intenzione di servirsi della Mezzaluna Rossa.

Di seguito, il messaggio del Presidente della Croce Rossa Italiana, e la canzone “Ma il cielo è sempre più blu” realizzata da più di 50 artisti e cantanti italiani a favore della Croce Rossa.

http://https://youtu.be/obERxjbqAk0

https://youtu.be/7GItOxCYVZQ

A cura di Alessia Castiglioni

5 maggio, Giornata Mondiale dell’Igiene delle Mani

Oggi 5 maggio è la Giornata Mondiale dell’Igiene delle Mani, promossa annualmente dall’OMS. Quest’anno più che mai abbiamo bisogno di ricordarla in modo appropriato. 

Le mani sono gli strumenti principali con cui interagiamo con il mondo circostante: che si tratti di aprire una porta, sfogliare un libro o mangiare, la quasi totalità delle nostre attività passa per esse. È dunque inevitabile che queste estremità entrino in contatto con diverse varietà di microorganismi, che nella loro pelle trovano un ambiente ideale in cui annidarsi e proliferare. Parte di questi è rappresentata da germi non patogeni, la cui presenza non è motivo di preoccupazione; ma a questi si aggiungono virus e batteri che, se lasciati indisturbati, possono essere responsabili di molte malattie, dalle più lievi, come influenza e raffreddore, alle più severe e potenzialmente letali, come l’ormai famigerato COVID-19. 

Dal momento che tali infezioni generalmente si diffondono nell’organismo insinuandosi attraverso naso e bocca, la prima raccomandazione da fare è di non toccarsi il volto, per quanto possa talvolta venire spontaneo. 

In ogni caso, talvolta è sufficiente il semplice gesto di lavarsi le mani regolarmente e col sapone per scongiurare qualsiasi rischio. Chi è restio a questa pratica, di solito teme che il lavaggio frequente provochi la secchezza della cute, fino a degenerare in vere e proprie dermatiti. Si tratta tuttavia di un effetto collaterale dovuto esclusivamente ad un abuso di acqua e detergenti, ed è per questo che la corretta igiene delle mani non deve essere né scarsa né eccessiva.

Può quindi tornare utile un elenco, stilato dal Ministero della Salute, delle situazioni quotidiane in cui è di particolare importanza lavarsi le mani:

PRIMA DI:

  • mangiare;
  • somministrare farmaci;
  • applicare/rimuovere le lenti a contatto;
  • usare il bagno;
  • cambiare un pannolino. 

DOPO: 

  • aver tossito, starnutito o soffiato il naso;
  • essere stati a contatto con animali;
  • aver usato il bagno;
  • aver toccato cibo crudo;
  • aver maneggiato monete e banconote;
  • aver usato un mezzo di trasporto

Puoi trovare indicazioni più approfondite a questo link: 

http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_3_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=dossier&p=dadossier&id=21

A cura di Enrico Forte

Scientificamente Avis: Emofilia, il difetto della coagulazione del sangue

Tutte le persone, come ben sappiamo, subiscono danni minimi nel corso della loro vita quotidiana, che si tratti di lievi ferite, graffi o piccoli ematomi, nella maggior parte dei casi l’organismo è in grado di ripararsi da solo.

Diverso è però il caso degli individui affetti da emofilia, dove anche piccole ferite potrebbero, a seconda della gravità della malattia, causare grossi problemi.

 L’emofilia è considerata una malattia rara, che interessa circa una persona ogni 10 mila (sono circa 400 mila le persone affette nel mondo, di cui 5 mila solo in Italia), ed è oggi tenuta sotto controllo grazie alla somministrazione di fondamentali e particolari proteine necessarie all’organismo. Esse sono indispensabili per garantire agli emofilici una vita pressochè normale.

Ma che cos’è esattamente l’emofilia?

Si tratta di quella malattia del sangue dovuta alla carenza di uno dei fattori della coagulazione (fattore VIII se si parla di emofilia di tipo A, fattore IX per il tipo B), proteine normalmente prodotte dal fegato che hanno il compito di favorire il processo di coagulazione del sangue quando si verifica una fuoriuscita dai vasi sanguigni.

In assenza di questi fattori, il rischio emorragico sia a seguito di ferite o traumi, sia che si verifichi spontaneamente, è molto elevato, poiché l’organismo non è in grado di arrestare il sanguinamento.

Esistono diverse forme della malattia, da quella più lieve dove i fattori della coagulazione sono solo carenti (tra il 5 e il 40% di attività), alla forma più grave, dove essi sono pressochè assenti (meno dell’1% di attività del fattore coagulante). In quest’ultimo caso, il rischio di emorragie anche gravi è elevato.

L’emofilia è oggi trattata con una terapia sostitutiva, che consiste nella somministrazione del fattore mancante attraverso iniezioni endovenose (purtroppo, essendo le molecole in questione di grandi dimensioni, esse non possono essere assunte per via orale o con iniezioni sottocute). Queste molecole si possono ottenere sia dal sangue delle donazioni volontarie, che in laboratorio, con tecniche di ingegneria genetica che hanno portato alla realizzazione della proteina in questione di derivazione sintetica.

Il rischio, tuttavia, è che nell’organismo ricevente si sviluppino degli anticorpi diretti contro il fattore coagulante, che ne neutralizzano l’effetto. Per questo motivo, nei casi più lievi, l’iniezione viene fatta solo in caso di trauma o di operazione chirurgica pianificata, sostituendo in alcuni casi il fattore coagulante con un farmaco chiamato desmopressina, che stimola l’organismo a produrre fattore VIII (quando però vi è già una quantità residua presente).

Per gli emofilici più gravi invece, è necessario che l’iniezione endovenosa venga somministrata due, tre volte a settimana, in modo da mantenere i fattori della coagulazione ad un valore sufficiente per prevenire emorragie spontanee.

Come si trasmette l’emofilia?

L’emofilia è una malattia genetica, e quindi ereditaria. Accade a un emofilico su tre di essere affetto dalla malattia a causa di un’alterazione genica al momento della formazione di spermatozoi o ovuli.

Nella maggior parte dei casi invece, viene trasmessa da madre a figlio.

Il gene difettoso infatti, che è recessivo, viene trasmesso tramite il cromosoma X, indicato come cromosoma Xe.

Le donne cui viene trasmesso questo gene avranno quindi due cromosomi XXe, dove il primo – sano – garantirà la presenza dei fattori della coagulazione. Le donne quindi possono essere portatrici sane di emofilia.

Al contrario, i maschi portatori di un cromosoma Y normale e del cromosoma Xe “difettoso” sono colpiti dalla malattia che viene trasmessa dalla madre portatrice.

Nel 1800 l’emofilia colpì molti membri delle famiglie reali di Inghilterra, Spagna, Germania e Russia. Tutti i soggetti colpiti infatti erano discendenti diretti della regina Vittoria. Uno dei discendenti più famosi colpiti, fu il figlio dello Zar Nicola II.

A cura di Alessia Castiglioni

Scientificamente Avis: Il plasma

Nel descrivere le componenti del sangue, abbiamo parlato del plasma come la sua componente o matrice extracellulare liquida, grazie alla quale le cellule sanguigne (eritrociti, leucociti e trombociti) possono circolare. Costituisce circa il 55% del totale ed è composto prevalentemente da acqua (oltre il 90%), nella quale sono disciolte e veicolate molte sostanze quali proteine, zuccheri, grassi, sali minerali, ormoni, vitamine, anticorpi e fattori della coagulazione. Esso viene filtrato dai reni (circa 180 L di plasma al giorno) in modo da individuare eventuali sostanze in eccesso che vengono espulse tramite urina.

Abbiamo già parlato della possibilità di donare plasma mediante aferesi, ovvero quel tipo di donazione in cui particolari apparecchiature separano le componenti ematiche prescelte, mentre le altre vengono restituite al donatore. Dal plasma donato si possono ottenere, mediante frazionamento industriale, alcune sostanze importantissime ai fini trasfusionali: fattori per la cura dell’emofilia, immunoglobuline (un tipo di anticorpi, molecole coinvolte nella risposta immunitaria dell’organismo umano), albumina (una proteina prodotta dalle cellule epatiche, ovvero del fegato), poi impiegati per la cura di particolari patologie.

Talvolta il plasma di pazienti guariti da infezioni di varia natura viene utilizzato per sperimentare strategie terapeutiche su pazienti colpiti dalla stessa malattia. Si parla in questo caso di plasma iperimmune, ovvero plasma che abbia un alto titolo di immunoglobuline e quindi un alto titolo anticorpale per una determinata malattia. Può essere tale perché il soggetto, essendosi ammalato, ha sviluppato durante la malattia un alto tasso di immunoglobuline, oppure perché un soggetto è stato vaccinato, e quindi ha un tasso elevato di anticorpi a seguito della vaccinazione.

Le AVIS di tutta Italia incentivano la donazione di plasma, prima di tutto perché i tempi di conservazione del plasma sono maggiori e possono raggiungere addirittura i 24 mesi; inoltre, l’Italia non ha ancora raggiunto l’autosufficienza di farmaci plasmaderivati ed è quindi importante incentivare questo tipo di donazione, considerato che molte persone non potrebbero vivere senza medicinali ricavati dal plasma.

A cura di Francesca Genoni

Avis Busto per la Sanità Lombarda

Qualche tempo fa abbiamo condiviso il sostegno di Avis alla Sanità Lombarda, attraverso una raccolta fondi coordinata da Avis Lombardia (lo trovate qua sotto).

Siamo perciò orgogliosi di dire che anche la nostra Avis, in qualità di Avis Busto Arsizio e Valle Olona, ha dato il suo contributo: 2.500 euro sono infatti stati donati a questa causa, mentre altri 2.500 euro sono stati donati proprio all’Ospedale di Busto a sostegno del nostro Centro Trasfusionale.

Scientificamente Avis: Il sangue è un tessuto

Sebbene tutti abbiano una chiara idea di che cosa sia il sangue, non risulta altrettanto spontaneo il riconoscimento dello stesso in quanto tessuto.

In biologia, al contrario dell’uso comune che si fa del termine, per tessuto non si intende necessariamente una struttura solida: l’unica definizione a cui deve rispondere è quella che lo descrive come insieme di cellule organizzate in modo tale da adempiere ad una o più specifiche funzioni. Negli organismi animali sono presenti quattro tipi fondamentali di tessuti: epiteliale, muscolare, nervoso e connettivo. Per quanto incredibile, il sangue ha più cose in comune con le ossa che con qualsiasi altro tessuto, dal momento che entrambi sono tessuti connettivi specializzati. 

Il tessuto connettivo è formato da cellule disseminate in una matrice extracellulare, cioè una sostanza non composta da cellule che può essere solida (è il caso del tessuto osseo), gelatinosa (come nel tessuto cartilagineo) o liquida. La matrice extracellulare del sangue, chiamata plasma, è un liquido in cui sono sospese tre diverse categorie di cellule: globuli rossi (o eritrociti), globuli bianchi (o leucociti) e piastrine (o trombociti). 

Le varie componenti del tessuto sanguigno concorrono al trasporto di sostanze tra i vari distretti corporei e alla difesa immunitaria. 

 

A cura di Enrico Forte

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